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di filosofi; vedevo nelle vetrine de’ librai, de titoli di libri filosofici nati qui; e mi rallegravo gratis al pensare che questa nostra povera cara Italia si fosse finalmente alzata anch’essa a dir la sua su questa faccenda, uscendo da quel lungo sonno, che ci veniva con una così superba compassione, rinfacciato dagli stranieri.

primo.

E che ci fosse ragione di compatirci, non c’è dubbio; ma c’era poi chi l’avesse, questa ragione? Certo, il non fare è una trista cosa; ma non viene da ciò, che ogni fare sia qualcosa di meglio; e se quello è degno di compassione, non vedo che possa esser degno d’invidia il far qualcosa che poi si deva disfare. Ora, qual è che rimanga in piedi (giacchè io non voglio parlare che d’effetti noti a tutti, e che si possono conoscere senza esser dotti in filosofia: le cagioni sapete dove le avremo a studiare insieme), qual è, dico, che rimanga in piedi, de’ sistemi filosofici fabbricati altrove, mentre qui si dormiva? E lasciamo pure da una parte, che il sonno non ci fu mai universale. Quella filosofia che, nata in una parte d’Europa, e allevata in un’altra, la signoreggiò, quasi tutta per una gran parte del secolo passato, dov’è ora? Voglio dire, chi è più che la professi, che la continui, che la sostenga, come corpo di dottrina, chè, in quanto al rimanerne nelle menti delle conseguenze staccate, ma fisse e attive; e in quanto all’esserne entrate anche in altri sistemi, in apparenza molto diversi, è un’altra cosa. Gli effetti delle filosofie che hanno avuto un vasto e lungo impero, sono come gli atti di Cesare, i quali sapete quanto, e per quanto tempo, furono fatti valere, dopo che Cesare ebbe toccati que’ ventitrè colpi, appiedi della statua di Pompeo. Conseguenze, però, che non serbano e vita e autorità, se non in quanto non sono riconosciute come conseguenze di quella filosofia stata repudiata, e repudiata espressamente, scientemente, costantemente, dopo una lunga resistenza. E una tale maniera di sopravvivere a sè stessa, non è certamente, nè gloriosa per una filosofia, nè vantaggiosa al mondo. Dopo di essa, per lasciare da una parte alcuni sistemi intermedi, che ebbero e fama e seguaci, ma sparsi, e non mai in tal numero da formare stole solenni, sorse in un’altra parte d’Europa un’altra filosofia, la quale, rimasta per qualche tempo inosservata, la riempì poi in un momento, se non di sè, del suo nome. Ma appena principiava qualcheduno a studiarla, fuori del paese dov’era nata, che già, in quello, tra i primi discepoli, era sorto un novo maestro, il quale, proponendosi da principio di continuarla e d’ampliarla, la rifece, e fondò una nova scola. E da questa non tardò a uscire uno novo maestro, per essere, poco tempo dopo, soverchiato anche lui da un discepolo ribelle, che si fece capo d’un’altra scola; dimanierachè gli uni dopo gli altri, come le spighe e le vacche del sogno di Faraone devorantes, se mi rammento bene le parole del testo, priorum pulchritudinem, nullum saturitatis dedere vestigium. Chè, torno a dire, io non parlo se non di resultati noti, come può parlare di regni caduti anche chi non s’intenda punto di politica. Cos’hanno pescato, domando, per totam noctem laborantes, mentre qui si dormiva? cos’è rimasto di tanta attività di ricerche, di tanto dispendio di meditazioni? Quattro nomi, e non una dottrina; una gran d’ammirazione della potenza dell’ingegno umano, e insieme una gran diffidenza.... diciamolo pure, un vero disprezzo per i suoi ritrovati più strepitosi, nella materia più importante, cioè intorno al principio d’ogni nostra cognizione; un’opinione, sempre precipitata e temeraria, sia che nasca da studi tornati vani, o dalla semplice fama di tanti inutili sforzi, un’opinione funesta, quanto abietta,