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direste che può esser solamente difficile realizzare il niente! Con quelle parole: l’idea è bella, voi affermate, o volere o non volere, l’essere di quell’idea, e insieme le attribuite una qualità. Cosa fate, cosa potete far di più, quando parlate d’una cosa reale qualunque, che affermarne l’essere, e, se il caso lo porta, attribuirle delle qualità? Cosa fareste di più, dicendo che l’acqua di questa boccia è fluida, che è diafana, che è pesante? Ma, dicevate, questo essere dell’idea, non l’intendo. Lo credo, finchè, per arrivare a intenderlo, cercavate in esso i caratteri della realtà. Come intenderlo in una forma che non è la sua? S’io vi dicessi: - questo fenomeno che voi chiamate acqua, un altro fenomeno, che si chiama calorico, me lo disfà, me lo trasmuta in una tutt’altra specie, che si chiama vapore; dimanierachè ciò che dicevate chiamandolo acqua, o non era la verità, o, ciò che torna al medesimo, era una verità che poteva cessare d’esser verità; e volete ch’io dica che quest’acqua è? Un essere di questa sorte, non l’intendo: dirò, fin che volete, che è un’apparenza, ma niente di più. L’idea che sopravvive impassibile a quella mutazione e a tutte le mutazioni possibili; l’idea identica, che fa dare lo stesso nome d’acqua e a questa e a tant’altre apparenze dello stesso genere, delle quali mille periscono, mentre mille altre si formano, quella so cosa dico, quando dico che è; - se, Dio liberi! vi parlassi così, cosa mi rispondereste? O idealista perfido, mi direste, dunque perchè nella cosa non trovi i caratteri dell’idea, mi vuoi negare l’esistenza della cosa? Dal guardar fissamente e esclusivamente un lato d’un triangolo, tu ricavi la bella conseguenza che quel lato solo è. E non t’accorgi che, negando, e con tutta la ragione, alla realtà que’ caratteri dell’idea, gliene attribuisci degli altri, diversi, opposti ma ugualmente positivi? Non vedi che, appunto perchè quest’altri caratteri non appartengono all’idea, e nondimeno tu li conosci, poichè te ne fai degli argomenti, bisogna che ci sia qualcosa che non è l’idea, e per di cui mezzo tu sei arrivato a conoscerli? Come questo qualcosa concorra a farti arrivare a una tal conoscenza, certo non lo saprai in eterno, se principii dal negarne l’esistenza, senz’altro esame, e per la sola ragione, che non esiste in quella forma, che ti sei prefisso dover essere l’unica forma dell’ente. Ma chi t’obbliga a prefiggerti che l’ente deva avere un’unica forma? Così mi potreste dire, e avreste ragione; come ho ragione di dire io a voi: chi v’obbligava, o allora perfido, a supporre che l’ente non abbia altra forma che quella della realtà? Chè tutto il vostro resistere all’evidenza, e anche dopo averla riconosciuta, non aveva altra cagione, che questa negativa e gratuita supposizione. E con quelle domande che vi parevano giocherelli, io non facevo altro che tirarla all’aperto, e presentarvela nella sua manifesta falsità, per costringervi a repudiarla. Questa, e non altro, vi faceva disintendere, in quel momento, e in parole, ciò che voi medesimo intendete sempre, e in fatto. E quando dico voi, voglio dir noi tutti, quanti siamo, e quanti furono, e quanti saranno, uomini creati a immagine e similitudine di Dio. E se ne volete la prova, non avete altro che a esaminare un ragionamento qualunque, fatto o potuto farsi, in qualunque tempo, da qualsisía uomo. Voi vedete, per esempio, un contadino (giovine o vecchio, sveglio o ottuso d’ingegno, in questo è tutt’uno), lo vedete mentre, in una bella giornata di primavera sta contemplando un suo campo di grano, verde, tallito, rigoglioso; e gli domandate cosa pensa. - Penso, risponde, che, se il Signore tien lontane le disgrazie, questo campo m’ha a dare tante misure di grano. - Domandategli allora, se quel grano a cui pensa, lo vede, lo tocca, lo potrebbe misurare, potrebbe farvelo vedere a voi. Si mette a ridere, perchè non sa immaginarsi altro, se non che vogliate canzonare. Dopo che, con quel ridere, v’avrà data la più chiara risposta che sia possibile, ditegli: dunque