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secondo.

Mi pare che la cosa si possa veder meglio nel primo esempio. Ecco suppongo che i due artisti hanno eseguito ognuno il suo disegno; e che i due lavori sono riusciti perfettamente simili come erano simili le due idee. Ce li presentano; e noi guardando l’uno e l’altro, esclamiamo: Pare impossibile! Proprio la stessa cosa, senza la differenza d’un punto. Vogliamo dire che sono un oggetto solo?

primo.

Siamo ancora lì. L’opere materiali in cui è realizzata l’idea, sono due; ma l’idea è una. E volete vedere ancora più chiaramente questa differenza? Ne butto uno nel foco: potete dire che quello che è bruciato, e quello che è intatto, siano uno solo? Fate un poco uno scherzo di questa sorte all’idea.

secondo.

Glielo fo benissimo. Suppongo che, prima di risolversi a metterla in un disegno materiale, uno degli artisti se la sia dimenticata, mentre l’altro l’ha ritenuta benissimo. Potete dire che quella che là non c’è più, e qui c’è ancora, sia un’idea sola?

primo.

Non solo posso, ma devo dire,che quella che è stata dimenticata là, e è ritenuta qui, è un’idea sola. Vi par egli che esser dimenticato equivalga a non esserci più? So, e ne ringrazio Dio e voi, che mi volete bene, e che, per conseguenza, vi rammentate spesso di me, anche da lontano; ma avrei a star fresco se, ogni volta che v’esco di mente, fosse come esser buttato nel foco. Badate: io posso dir con voi: l’idea del fiore non è più là; ma è ancora qui. Potete voi dire: il disegno è bruciato là nel cammino[1], ed è ancora qui intatto? Suppongo che all’artista dimenticatore l’idea ritorna in mente; e dico: è quella; anzi l’ho già detto nell’enunciato medesimo della supposizione. Potete bensì supporre anche voi, che l’autore del disegno stato bruciato, ne faccia uno novo, e affatto simile; ma potete dire: è quello?.... Però, sì; lo potete dire; ma appunto questo poterlo è una chiarissima e fortissima prova della verità che impugnate. Di grazia, statemi attento qui particolarmente; anzi statemi al pelo, per vedere se dico una cosa vera, e se ne cavo una conseguenza giusta. La cosa che voglio dire è questa. Voi potete enunciare quel doppio fatto in due maniere diversissime, anzi affatto opposte, facendo però intendere la stessa cosa, senza che ne nasca la più piccola ambiguità. Potete dire, come ho detto io dianzi il disegno è stato bruciato; ma l’autore ne ha fatto un altro affatto simile. E allora voi usate le parole nel senso proprio; chiamate due ciò che è due. Ma potete anche dire: il disegno è stato bruciato; ma l’autore l’ha rifatto. E all’autore che ve lo fa vedere, potete dire: ma bravo! son proprio contento di vederlo ancora quel disegno, che mi sapeva tanto male che fosse perito: è quello, non c’è che dire. Allora, però, parlate figuratamente, poichè date un nome che importa unità a due cose distinte: una che fa, l’altra che è. E non glielo date già per sbaglio, nè per volontà d’ingannare, poichè nel discorso medesimo affermate questa duplicità, dimanierachè, nel termine medesimo di cui vi servite per chiamarle uno, c’è implicito il paragone dell’una con l’altra. Vi par vero tutto questo?

secondo.

Non ci trovo che ridire, e aspetto la conseguenza.