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passi una strada diversa da quella segnata dai classici dell’antichità greca e latina, c’era, insieme con l’ammirazione per i gran poeti volgari, come li chiamavano, una persuasione che la vera e unica perfezione dell’arte non si trovasse se non nell’opere di quell’antichità. Pareva di vedere nella nova poesia tanti vacui, quante erano le specie di composizioni poetiche, di cui quell’antichità aveva tramandati degli esemplari. Lo studio crescente della letteratura latina, gli avanzi sepolti che se ne andavano scoprendo di mano in mano, la piena dell’opere greche, entrata dopo la presa di Costantinopoli, avevano accresciuto a dismisura il desiderio di veder riempiti que’ vacui. Il Trissino venne avanti coraggiosamente, e ne riempì due, e non de’ più piccoli certamente. Diede alla letteratura moderna la prima tragedia regolare: la Sofonisba, e il primo poema regolare: l’Italia Liberata. E se l’Ariosto non gli rubava le mosse, le avrebbe data anche, coi Simillimi, la prima commedia regolare in versi: tanto era lesto! Se, con quella vena d’invenzione, di stile e di verso, avesse scritto un poema cavalleresco, è da credere che non solo questo non avrebbe ottenuta la celebrità popolare di cui godettero, per qualche tempo, l’Amadigi di Bernardo Tasso, e il Giron Cortese di Luigi Alamanni, e qualche altro; ma che si sarebbe perso, sul nascere, tra i meno osservati. Ma l’Italia Liberata faceva le viste di soddisfare un desiderio, di compir quasi un dovere della nova poesia; e ottenne perciò il titolo di poema epico: titolo che gli è rimasto, senza che ne venga obbligo di lettura, a un di presso come vari principi hanno conservati de’ titoli di reami o persi o pretesi, senza che ne venga obbligo d’ubbidienza. Quel poema, giacché non si saprebbe che altro nome dargli, non fece fare all’epopea storica, riprincipiata con lui dopo un così lungo intervallo, né un passo avanti, né un passo indietro: e il solo fatto d’esser venuto il primo gli ha mantenuta e gli mantiene una sterile celebrità. Non c’è quindi bisogno di parlarne più in particolare.
Nel piccol numero de’ celebri poemi epici è rimasta ugualmente, ma per tutt’altro titolo, e con tutt’altro onore, la Lusiade del Camoëns, venuta alla luce circa mezzo secolo dopo. Questo poema è, per dir così, doppiamente storico, perché, oltre il luogo che ci occupa la storia che è la materia prima del soggetto, il poeta ne ha dato altrettanto o più alla storia d’altri tempi. L’azione principale è la spedizione di Vasco de Gama; ma il soggetto, dirò anche qui, ulteriore del poema è il Portogallo; come Roma lo era dell’Eneide. Ma né la storia portoghese, né alcun’altra di popoli moderni, è tale che un poeta possa, con de’ cenni, richiamarla tutta al pensiero, o trascorrerne le diverse parti, toccando sempre cose e grandi e note, come fece Virgilio con la romana. E quindi, per essere, come lui, per quanto era possibile, poeta continuamente e grandiosamente nazionale, non trovò il Camoëns miglior mezzo, che di trasportare per disteso nel poema la storia del suo paese: quella anteriore al momento dell’azione, in un racconto di Vasco de Gama a un re affricano; la posteriore, in una predizione. Novo e singolare ripiego della prepotente storia, per cacciarsi nell’epopea, anche dove non era chiamata dall’azione principale. Però, che dico prepotente? che dico cacciarsi? Non fa altro che ritornar sul suo.
Ma alla fine, mi sento dire, alla fine bisognerà pure che arriviate a un altr’uomo e a un altro poema. Quest’epopea, che non è più l’epopea spontanea d’Omero, e neppure la favolosa di Virgilio; quest’epopea storica, fondata secondo voi, da Lucano, riformata da Silio Italico, e resuscitata dal Trissino, quest’epopea, l’assunto della quale, sempre secondo voi, repugna apertamente alla scienza e allo spirito del tempo presente, ha prodotta la Gerusalemme Liberata, cioè un lavoro che è, da quasi tre secoli,