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coli XIII e XIV, e che gli storici non trovavano un mezzo migliore per acquistar fede presso i lettori, che di farsi belli dell’autorità di quelle1

Tra i passi di que’ poeti storici, allegati dal dotto accademico, ne citerò uno d’un Filippo Mouskes, che scriveva nel principio del secolo XIII. Costui, dopo essersi accusato di non aver altre volte usata la dovuta cautela nella scelta de’ suoi autori, aggiunge:

                         ... Quant un me conseilla
                         Que trop obscurement savoie
                         Les faiz que je ramentevoie,
                         Et que s’a Saint Denis allasse,
                         Le voir (il vero) des Gestes y trouvasse,
                         Non pas menconges ne frivoles;
                         Bientost après cestes paroles
                         M’en vins là, et tant esploitai,
                         Que veu ce que je convoitai,
                         Lors alai faus apercevant
                         Quanque j’ avoie fait devant;
                         Si l’ardit (bruciai) con ni deust croire,
                         Et me pris à la vraie histoire,
                         Jouste la quele je mesis (messi in carta?)

E cosa trovavano poi in quelle famose cronache, dato che andassero davvero a consultarle? Trovavano:

«Come cils Kalles (Carlomagno) la conquist toute (la Spagna) entièrement en son tens, et la fist obaïr à ses commandemens;

«Come Fernagus un Jaianz du lignage Goulie estoit venu à la cité de Nadres des contrées de Surie: si l’avoit envoié l’amiraus de Babilone contre Kallemaine pour deffendre la terre d’Espaigne;

«Comment (e questo era uno de’ fatti più ricantati) Rollans occist le Roi Marsile, et puis comment il fendit le perron (il masso), quant il cuida despiecer s’espée; et puis comment il sonna derechief l’olifant (il corno), que Kalles oï de VIII miles loing2

All’osservazione del dotto La Curne, non sarà superfluo l’aggiungerne una simile, ma fondata sopra ricerche molto più vaste, dell’illustre e pianto mio amico Fauriel.

«Ogni autore d’un romanzo epico del ciclo carlovingico, non tralascia mai di darsi per uno storico davvero. Principia sempre col protestare che non dirà cosa che non sia certa e autentica; cita sempre mallevadori, autorità, alle quali rimette coloro di cui ambisce il suffragio. Queste autorità sono ordinariamente certe cronache preziose, conservate nel tale o nel tal altro monastero, delle quali ha avuto la fortuna di potersi servire col mezzo di qualche dotto monaco...

«I termini con cui qualificano le loro novelle sono anch’essi suggeriti da quella pretensione d’averle cavate da documenti venerabili. Le chiamano chansons de vieille histoire, de haute histoire, de bonne geste, de grande baronie, e non è per vantar sè stessi, che usano simili espressioni: la vanità letteraria non ha in loro forza veruna in paragone del

  1. Mémoires de l’Acadèmie des Inscriptions et Belles-Lettres, vol. 15, p. 580
  2. Chroniques de S. Denis; Gestes de grant roy Kallemaine. Recueil des historiens des Gaules et de la France; tom. V.