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più, se grande), o della serie d’avvenimenti che sono per descrivere, erano o poco o male conosciute; che la c’è voluta tutta a nettare quella materia da ciò che ci aveva appiccicato la mala fede degli uni, e l’immaginazione degli altri, che, sulle cagioni e principali e secondarie, sui modi, sulle circostanze, si troveranno ne’ loro lavori delle notizie tanto nove e inaspettate, quanto genuine, che in somma le loro ricerche e le loro osservazioni gli hanno messi in caso di sostituire un concetto più ordinato, più intero, più sincero di quello o di quegli avvenimenti, al concetto più o meno alterato e confuso, che se ne poteva aver prima. E a lettori e scrittori che hanno tra di loro un’intesa di questa sorte, e prodotta da tali motivi, si verrebbe a proporre l’alterazione de’ concetti de’ grandi avvenimenti, come scopo e soggetto d’una nova specie di lavori! Proposta che, a svolgerla appena appena, verrebbe a dire, a un di presso, così:
Tra gli avvenimenti passati di cui rimane la memoria, ce ne sono alcuni che si chiamano grandi e riguardo alle cagioni e riguardo agli effetti; cioè, da una parte, per un concorso straordinario di voleri e d’azioni umane, che cooperarono, anche col loro contrasto, a farli riuscire quali li conosciamo; dall’altra, per una straordinaria mutazione che ne seguì nello stato d’una o di più società. Ognuno di questi avvenimenti ebbe, oltre le sue cagioni principali, una quantità di cagioni secondarie, e anche nate ne’ diversi momenti del suo progresso; ognuno ebbe i suoi ostacoli e i suoi aiuti, i suoi ritardi e le sue spinte, i suoi accidenti e i suoi modi speciali e, per dir così, individuali. E, certo, fa un’opera sensata e utile lo storico, a raccoglier tutte quelle notizie, a depurarle, a serbare a ciascheduna cosa, e a ciaschedun uomo il suo proprio modo, il suo proprio grado d’efficienza sul tutto, a studiare e a mantenere l’ordine reale de’ fatti, dimanieraché il lettore, ammirando la grandezza e la novità del resultato, lo trovi insieme naturalissimo, anzi relativamente necessario. Ma c’è qualcos’altro da fare, e, in un certo senso, qualcosa di meglio: rappresentare quegli avvenimenti quali avrebbero dovuto essere, per riuscir più dilettevoli e più maravigliosi. E questa, o poeta, è la tua parte. A te dunque a fare una nova scelta tra le parti dell’avvenimento, lasciando fuori quelle che non servono al tuo intento speciale e più elevato, e trasformando come ti torna meglio quelle che ti torna meglio di conservare; a te a trovare delle difficoltà che, secondo te, avrebbero dovuto ritardare o sviare il corso dell’avvenimento, e naturalmente a trovare anche gli sforzi coi quali si sarebbero dovute superare; a te a immaginare accidenti, disegni, passioni e, per far più presto, uomini che avrebbero dovuto averci una parte più o meno importante; a te a disegnar la strada che le cose avrebbero dovuta prendere per arrivare dove sono arrivate.
Ho detto che, se un progetto di questa sorte venisse in questi tempi proposto a priori, parrebbe strano: non temerei di dir troppo aggiungendo che non verrebbe neppure in mente a nessuno.
Anzi, se vogliamo guardare un po’ più in là, o piuttosto rammentarci di cose note, si troverà che ciò non accadde in nessun tempo. L’epopea letteraria (della quale l’epopea storica non fu nemmeno la prima forma) non venne al mondo, per dir così, a caso pensato; non fu la realizzazione d’un concetto astratto e anteriore; fu l’imitazione d’un fatto molto, ma molto, diverso. L’epopea primitiva e, dirò così, spontanea non fu altro che storia: dico storia nell’opinione degli uomini ai quali era raccontata o cantata; che è ciò che importa e che basta alla questione presente. Di quella allora creduta storia rimasero due monumenti perpetuamente singolari, l’Iliade e l’Odissea. E quando non poterono più essere accettati per vera e genuina storia: ma nello stesso tempo, riuscivano sommamente dilettevoli, per altre ragioni, e potevano quindi esser considerati