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336 | del romanzo storico |
umani, ma qualsiasi esposizione ordinata e sistematica di fatti umani. È questa, dico, la storia che intendo d’opporre al romanzo storico; e che s’avrebbe ragione d’opporgli, quand’anche essa non fosse altro che possibile. Ma, del resto, chi non sa che ci sono molti lavori di questo genere, e alcuni lodati con gran ragione? lavori, lo scopo de’ quali è appunto di far conoscere, non tanto il corso politico d’una parte dell’umanità, in un dato tempo, quanto il suo modo d’essere, sotto aspetti diversi e, più o meno, moltiplici. Trovate forse, che, in questo ramo principalmente, la storia sia rimasta indietro da ciò che un tale intento poteva richiedere, da ciò che i materiali cercati e osservati con un proposito più vasto e più filosofico, potessero dare? che abbia trascurato d’occuparsi di certi fatti, o d’ordini interi di fatti, de’ quali non sentiva l’importanza? che non abbia voluto osservare certe relazioni, certe dipendenze reciproche di certi fatti, che pure aveva raccolti, e che ha riferiti, ma come estranei gli uni agli altri, perché, a prima vista, possono parer tali? Gridatela; ma raccomandatevi a lei, perché è la sola che possa riparare le sue omissioni. E c’è qualcheduno che, vedendo in particolare questa possibilità di far meglio, intorno a uno o a un altro momento del passato storico, si metta a una nova ricerca? Bravo! macte animo! frughi ne’ documenti di qualunque genere, che ne rimangano, e che possa trovare; faccia, voglio dire, diventar documenti anche certi scritti, gli autori de’ quali erano lontani le mille miglia dall’immaginarsi che mettevano in carta de’ documenti per i posteri, scelga, scarti, accozzi, confronti, deduca e induca; e gli si può star mallevadore, che arriverà a formarsi, di quel momento storico, concetti molto più speciali, più decisi, più interi, più sinceri di quelli che se ne avesse fino allora. Ma che altro vuoi dir tutto questo, se non concetti più obbligati?
Che se, in vece di trattar col lettore come tratta con sé, di presentare agli altri intelletti, intatta e schietta, l’immagine che, in ricompensa delle sue ricerche e delle sue meditazioni, è apparsa al suo; la ripone, per spezzarla di nascosto, e fare, co’ rottami di essa e con una materia di tutt’altra natura, qualcosa di più e di meglio; se, per renderla più animata, vuoi farla vivere di due vite diverse; se prende per mezzo ciò che era il fine; allora la ragione delle cose, la quale non sa nulla di questi progetti, ed è avvezza bensì a mantenere, e con gran puntualità, i suoi impegni, ma non quelli degli altri, non solo non permette che da un tale impasto resulti una rappresentazione più compita d’uno stato reale dell’umanità, ma nemmeno quella meno particolarizzata, che poteva resultare dal ritratto sincero delle cose reali. Ché il positivo non è, riguardo alla mente, se non in quanto è conosciuto; e non si conosce, se non in quanto si può distinguerlo da ciò che non è lui, e quindi l’ingrandirlo con del verosimile, non è altro, in quanto all’effetto di rappresentarlo, che un ridurlo a meno, facendolo in parte sparire. Ho sentito parlare (cosa vecchia e vera anche questa) d’un uomo più economo che acuto, il quale s’era immaginato di poter raddoppiar l’olio da bruciare, aggiungendoci altrettanta acqua. Sapeva bene che, a versarcela semplicemente sopra, l’andava a fondo, e l’olio tornava a galla; ma pensò che, se potesse immedesimarli mescolandoli e dibattendoli bene, ne resulterebbe un liquido solo, e si sarebbe ottenuto l’intento. Dibatti, dibatti, riuscì a farne un non so che di brizzolato, di picchiettato, che scorreva insieme, e empiva la lucerna. Ma era più roba, non era olio di più; anzi, riguardo all’effetto di far lume, era molto meno. E l’amico se n’avvide, quando volle accendere lo stoppino.
Ho serbata per l’ultima l’obiezione più tremenda e più inevitabile: il fatto. Tutte codeste, mi sento dire, saranno belle teorie; ma il fatto le