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332 | del romanzo storico |
Può darsi, dico, che il lettore, se non fosse stato avvertito che la cosa raccontata era realmente avvenuta, l’avrebbe presa, e se la sarebbe goduta per una bella invenzione poetica. Ma è forse a questo, che l’arte aspira? Bello sforzo, in verità, bella operazione dell’arte quella che consistesse, non nell’ideare cose verosimili, ma nel lasciar ignorare che le cose presentate da essa sono reali! E bell’effetto dell’arte, quello che dovesse dipendere da un’ignoranza accidentale! giacchè, se nell’atto che quel lettore si sta godendo la supposta invenzione poetica, viene uno e gli dice: sappiate che è un fatto positivo, cavato dal tal documento; ecco il pover’uomo trasportato di peso dagli spazi della poesia nel campo della storia. L’arte è arte in quanto produce, non un effetto qualunque, ma un effetto definitivo. E, intesa in questo senso, è non solo sensata, ma profonda quella sentenza, che il vero solo è bello; giacchè il verosimile (materia dell’arte) manifestato e appreso come verosimile, è un vero, diverso bensì, anzi diversissimo dal reale1, ma un vero veduto dalla mente per sempre o, per parlar con più precisione, irrevocabilmente: è un oggetto che può bensì esserle trafugato dalla dimenticanza, ma che non può esser distrutto dal disinganno. Nulla può fare che una bella figura umana, ideata da uno scultore, cessi d’essere un bel verosimile: e quando la statua materiale, in cui era attuata, venga a perire, perirà bensì con essa la cognizione accidentale di quel verosimile, non, certamente, la sua incorruttibile entità. Ma se uno, vedendo, da lontano e al barlume, un uomo ritto e fermo su un edifizio in mezzo a delle statue lo prendesse per una statua anche lui, vi pare che sarebbe un effetto d’arte?
L’altra cosa che potrebbe nascere è che il lettore, non avvertito dall’autore, che una o un’altra cosa, la quale eccita particolarmente la sua attenzione, è cosa di fatto; ma avvertito dalla natura o, per dir meglio, dall’assunto del componimento, che può benissimo esser cosa di fatto, rimanga in dubbio, esiti; e certo senza sua colpa, come contro sua voglia. Assentire, assentir rapidamente, facilmente, pienamente, è il desiderio d’ogni lettore, meno chi legga per criticare. E si assente con piacere tanto al puro verosimile, quanto al vero positivo; ma l’avete detto voi, con assentimenti diversi, anzi opposti; e, aggiungo io, con una condizione uguale in tutt’e due i casi; cioè che la mente riconosca nell’oggetto che contempla o l’una o l’altra essenza, per poter prestare o l’uno o l’altro assentimento. Dissimulando la realtà della cosa raccontata l’autore sarebbe riuscito, secondo il vostro desiderio, a impedire un assentimento storico, ma levando insieme al lettore il mezzo di prestarne uno qualunque. Effetto contrario anch’esso, quanto si possa dire all’intento dell’arte; poichè qual cosa più contraria all’unità, all’omogeneità dell’assentimento, che la mancanza dell’assentimento?
Ed è appunto per prevenire e l’inganno di cui ho parlato sopra, e questa esitazione; è per non fare al lettore una miserabile marachella, o per servire a un suo probabile desiderio, per non lasciar senza risposta una sua tacita interrogazione, che un autore può essere, in questo o in quel caso, tentato fortemente, o come trascinato a distinguere espressamente la realtà: è perchè sente quanto manchi alla cosa, rappresentata, mancandole la manifestazione d’una qualità di questa sorte. Non dico che faccia bene; non nego che faccia una cosa direttamente, manifestamente contraria all’unità del componimento: dico che il lasciar lui di farla non servirebbe ad ottenere questa unità. Fa come il povero maestro