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328 | del romanzo storico |
segnate le catene de’ monti, i fiumi, le città, i borghi, le strade maestre d’una vasta regione, e una carta topografica, nella quale, e tutto questo è più particolarizzato (dico quel tanto che ne può entrare in uno spazio molto più ristretto di paese), e ci sono di più segnate anche le alture minori, e le disuguaglianze ancor meno sensibili del terreno, e i borri, le gore, i villaggi, le case isolate, le viottole. Costumi, opinioni, sia generali, sia particolari a questa o a quella classe d’uomini; effetti privati degli avvenimenti pubblici che si chiamano più propriamente storici, e delle leggi, o delle volontà de’ potenti, in qualunque maniera siano manifestate; insomma tutto ciò che ha avuto di più caratteristico, in tutte le condizioni della vita, e nelle relazioni dell’une con l’altre, una data società, in un dato tempo; ecco ciò che vi siete proposto di far conoscere, per quanto siete arrivato, con diligenti ricerche, a conoscerlo voi medesimo. E il diletto che vi siete proposto di produrre, è quello che nasce naturalmente dall’acquistare una tal cognizione, e dall’acquistarla per mezzo d’una rappresentazione, dirò così, animata, e in atto.
«Posto ciò, quando mai il confondere è stato un mezzo di far conoscere? Conoscere è credere; e per poter credere, quando ciò che mi viene rappresentato so che non è tutto ugualmente vero, bisogna appunto ch’io possa distinguere. E che? volete farmi conoscere delle realtà, e non mi date il mezzo di riconoscerle per realtà? Perchè mai avete voluto che queste realtà avessero una parte estesa e principale nel vostro componimento? perchè quel titolo di storico, attaccatoci per distintivo, e insieme per allettamento? Perchè sapevate benissimo che, nel conoscere ciò che è stato davvero, e come è stato davvero, c’è un interesse tanto vivo e potente, come speciale. E dopo aver diretta e eccitata la mia curiosità verso un tale oggetto, credereste di poterla soddisfare col presentarmene uno che potrà esser quello, ma potrà anche essere un parto della vostra inventiva?
«E notate che, col farvi questa critica, intendo di farvi anche un complimento: intendo di parlar con uno scrittore che sa e sceglier bene i suoi argomenti, e maneggiarli bene. Se si trattasse d’un romanzo noioso, pieno di fatti ordinari possibili in qualunque tempo, e perciò non notabili in veruno, avrei chiuso il libro senza curarmi d’altro. Ma appunto perchè il fatto, il personaggio, la circostanza, il modo, le conseguenze che mi rappresentate, attirano e trattengono fortemente la mia attenzione, nasce in me tanto più vivo, più inquieto e, aggiungo, più ragionevole il desiderio di sapere se devo vederci una manifestazione reale dell’umanità, della natura, della Provvidenza, o solamente un possibile felicemente trovato da voi. Quando uno che abbia la riputazione di piantar carote, vi racconti una novità interessante, dite di saperla? rimanete appagato? Ora voi (quando scrivete un romanzo, s’intende) siete simile a lui, cioè uno che racconta ugualmente il vero e il falso; e se non mi fate distinguere l’uno dall’altro, mi lasciate come mi lascia lui.
«Istruzione e diletto erano i vostri due intenti; ma sono appunto così legati, che, quando non arrivate l’uno, vi sfugge anche l’altro; e il vostro lettore non si sente dilettato, appunto perchè non si trova istruito.»
Potrebbero sicuramente dir la cosa meglio; ma, anche dicendola così, bisogna confessare che hanno ragione.
Ci sono però, come abbiamo detto da principio, degli altri, che vorrebbero tutt’il contrario. Si lamentano in vece che, in questo o in quel romanzo storico, in questa o in quella parte d’un romanzo storico, l’autore distingua espressamente il vero positivo dall’invenzione: la qual cosa, dicono, distrugge quell’unità che è la condizione Vitale di questo, come d’ogni altro lavoro dell’arte. Cerchiamo di vedere un po’ più in particolare su cosa si fondi anche quest’altro lamento.