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266 il conte di carmagnola


il conte.


                              No: tu li vedi
Con l’occhio altrui: quando col tuo li veda,
Tu cangerai pensiero. Havvene assai
Di schietti e buoni; havvene tal che un’alta
Anima chiude, a cui pensier non osa
Avvicinarsi che gentil non sia:
Anima dolce e disdegnosa, in cui
Legger non puoi, che tu non sia compreso
D’amor, di riverenza, e di desio
Di somigliarle. Non temer; non sono
Di me scontenti; e quando il fosser mai,
Io lo saprei ben tosto.

gonzaga.


                                        Il ciel non voglia
Che tu t’inganni.

il conte.


                                   Altro mi duol: son stanco
Di questa guerra che condur non posso
A modo mio. Quand’io non era ancora
Più che un soldato di ventura, ascoso
E perduto tra i mille, ed io sentia
Che al loco mio non m’avea posto il cielo,
E dell’oscurità l’aria affannosa
Respirava fremendo, ed il comando
Sì bello mi parea,... chi m’avria detto
Che l’otterrei, che a gloriosi duci,
E a tanti e così prodi e così fidi
Soldati io sarei capo; e che felice
Io non sarei perciò!...

(entra un soldato)


                                        Che rechi?

soldato.


                                                            Un foglio
Di Venezia

(gli porge il foglio, e parte)



il conte.


                    Vediam.

(legge)


                                        Non tel diss’io?
Mai non gli ebbi più amici: a loro il Duca
Chiede la pace, e conferir con meco
Braman di ciò. Vuoi tu seguirmi?