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atto quarto. 263

Rivelami il mio cor; ch’io veda almeno
In quale abisso son caduto, s’io
Fui più stolto, codardo, o sventurato.
Carmagnola, tu verrai!... sì certo
Egli verrà... se anche di queste volpi
Stesse in sospetto, ei penserà che Marco
È senator, che anch’io l’invito; e lunge
Ogni dubbiezza scaccerà, rimorso
Avrà d’averla accolta... Io son che il perdo!
Ma... di clemenza non parlò quel vile?
Sì, la clemenza che il potente accorda
All’uom che ha tratto nell’agguato, a quello
Ch’egli medesmo accusa, e che gli preme
Di trovar reo. Clemenza all’innocente!
Oh! il vil son io che gli credetti, o volli
Credergli; ei la nomò perchè comprese
Che bastante a corrompermi non era
Il rio timor che a goccia a goccia ei fea
Scender sull’alma mia: vide che d’uopo
M’era un nobil pretesto; e me lo diede.
Gli astuti! i traditor! Come le parti
Distribuite hanno tra lor costoro!
Uno il sorriso, uno il pugnal, quest’altro
Le minacce... e la mia?... voller che fosse
Debolezza ed inganno... ed io l’ho presa!
Io li spregiava; e son da men di loro!
Ei non gli sono amici!... Io non doveva
Essergli amico: io lo cercai; fui preso
Dall’alta indole sua, dal suo gran nome.
Perchè dapprima non pensai che incarco
È l’amistà d’un uom che agli altri è sopra?
Perchè allor correr solo io nol lasciai
La sua splendida via, s’io non potea
Seguire i passi suoi? La man gli stesi;
Il cortese la strinse; ed or ch’ei dorme,
E il nemico gli è sopra, io la ritiro:
Ei si desta, e mi cerca: io son fuggito!
Ei mi dispregia, e more! Io non sostengo
Questo pensier... Che feci!... Ebben, che feci?
Nulla finora: ho sottoscritto un foglio,
E nulla più. Se fu delitto il giuro,
Non fia virtù l’infrangerlo? Non sono
Che all’orlo ancor del precipizio; il vedo,
E ritrarmi poss’io... Non posso un mezzo
Trovar?... Ma s’io l’uccido? Oh! forse il disse
Per atterrirmi... E se davvero il disse?
Oh empi, in quale abbominevol rete
Stretto, m’avete! Un nobile consiglio
Per me non c’è; qualunque io scelga, è colpa.