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260 il conte di carmagnola


marino.


Più non pensaste che all’amico.

marco.


                                                            Allora,
Dissimular nol vo’, tutte sentii
Le potenze dell’alma sollevarsi
Contro un consiglio... ah fu seguito!... Un solo
Pensier non fu; fu della patria mia
L’onor ch’io vedo vilipeso, il grido
De’ nemici e de’ posteri; fu il primo
Senso d’orror che il tradimento inspira
All’uom che dee stornarlo, o starne a parte
E se pietà d’un prode a tanti affetti
Pur si mischiò, dovea, poteva io forse
Farla tacer? Son reo d’aver creduto
Che util puote a Venezia esser soltanto
Ciò che l’onora, e che si può salvarla
Senza farsi...

marino.


                         Non più: se tanto udii
Fu perchè ai Capi del Consiglio importa
Di conoscervi appien. Piacque aspettarvi
Ai secondi pensier; veder si volle
Se un più maturo ponderar v’avea
Tratto a più saggio e più civil consiglio.
Or, poichè indarno si sperò, credete
Voi che un decreto del Senato io voglia
Difender ora innanzi a voi? Si tratta
La vostra causa qui. Pensate a voi,
Non alla patria: ad altre, e forti, e pure
Mani è commessa la sua sorte: e nulla
A cor le sta che il suo voler vi piaccia,
Ma che s’adempia, e che non sia sofferto
Pure il pensier di porvi impedimento.
A questo vegliam noi. Quindi io non voglio
Altro da voi che una risposta. Espresso
Sovra quest’uomo è del Senato il voto
Compir si dee; voi, che farete intanto?

marco.


Quale inchiesta, signor!

marino.


                                             Voi siete a parte
D’un gran disegno; e in vostro cor bramate
Che a voto ei vada: non è ver?

marco.


                                                       Che importa
Ciò ch’io brami, allo Stato? A prova ormai