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258 il conte di carmagnola

Sono un di voi: la causa dello Stato
È la mia causa; e il suo segreto importa
A me non men che altrui.

marino.


                                                  Volete alfine
Saper chi siete qui? Voi siete un uomo
Di cui si teme, un che lo Stato guarda
Come un inciampo alla sua via. Mostrate
Che nol sarete; il darvene agio ancora
E gran clemenza.

marco.


                              Io sono amico al Conte:
Questa è l’accusa mia; nol nego, io il sono:
E il ciel ringrazio che vigor mi ha dato
Di confessarlo qui. Ma se nemico
È della patria? Mi si provi, è il mio.
Che gli si appone? I prigionier disciolti?
Non li disciolse il vincitor soldato?
Ma invan pregato il condottier non volle
Frenar questa licenza. Il potea forse?
Ma l’imitò. Non ve lo astrinse un uso,
Qual ch’ei sia, della guerra? ed al Senato
Vera non parve questa scusa? e largo
D’ogni onor poscia non gli fu? L’ajuto
Al Trevisan negato? Era più grave
Periglio il darlo; era l’impresa ordita
Ignaro il Conte; ei non fu chiesto a tempo.
E la sentenza che a sì turpe esiglio
Il Trevisan dannò, tutta la colpa
Non rovesciò sovra di lui? Cremona?
Chi di Cremona meditò l’acquisto?
Chi l’ordin diè che si tentasse? Il Conte.
Del popol tutto che a rumor si leva
Non può scarso drappel l’inaspettato
Impeto sostener; ritorna al campo,
Non scemo pur d’un combattente. Al Duce
Buon consiglio non parve incontro un novo
Impensato nemico avventurarsi;
E abbandonò l’impresa. Ella è, fra tante
Sì ben compiute, una fallita impresa.
Ma il tradimento ov’è? Fiero, oltraggioso
Da gran tempo, voi dite, è il suo linguaggio:
Un troppo lungo tollerar macchiato
Ha l’onor nostro. Ed un’insidia, il lava?
E poi che un nodo, un dì sì caro, ormai
Non può tener Venezia e il Carmagnola,
Chi ci vieta disciorlo? Un’amistade
Sì nobilmente stretta, or non potria
Nobilmente finir? Come! anche in questo