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atto quarto. 257

Solo, ma caldo difensor. Per lui
Innocente è costui, degno di lode
Più che di scusa; e se ci fu sventura,
Colpa è soltanto del destino... e nostra.
Non è giustizia che il persegue: è solo
Odio privato, è invidia, è basso orgoglio
Che non perdona al sommo, a chi tacendo
Grida co’ fatti: io son maggior di voi.
Certo inaudito è un tal linguaggio: i Padri
Nel lor Senato oggi l’udiro; e muti
Si volsero a guardar donde tal voce
Venìa, se uno straniero oggi, un nemico
Premere un seggio del Senato ardia.
Chiarito è il Conte un traditor; si vuole
Torgli ogni via di nocere. Ma l’arte
Tanta e l’audacia è di costui, che reso
Ei s’è tremendo a’ suoi signori; è forte
Di quella forza che gli abbiam fidata;
Egli ha il cor de’ soldati; e l’armi nostre,
Quando voglia, son sue; contro di noi
Volger le puote, e il vuol. Certo è follia
Aspettar che lo tenti; ognun risolve
Ch’ei si prevenga, e tosto. A forza aperta
È impresa piena di perigli. E noi
Starem per questo? E il suo maggior delitto
Sarà cagion perchè impunito ei vada?
Solo una strada alla giustizia è schiusa,
L’arte con cui l’ingannator s’inganna.
Ei ci astrinse a tenerla; ebben, si tenga:
Questo è il voto comun. Che fece allora
L’amico di costui? Ve ne rammenta?
Io vel dirò: che men tranquillo al certo
Era in quel punto il vostro cor, dell’occhio
Che imperturbato vi seguia. Perdeste
Ogni ritegno, oltrepassaste il largo
Confin che un resto di prudenza avea
Prescritto al vostro ardor, dimenticaste
Ciò che promesso v’eravate, intero
Ai men veggenti vi svelaste, a quelli
Cui parea novo ciò che a noi non l’era.
Ognuno allor pensò che oggi in Senato
C’era un uom di soverchio, e che bisogna
Porre il segreto dello Stato in salvo.

marco.


Signor, tutto a voi lice: innanzi a voi
Quel che ora io sia, non so: però non posso
Dimenticarmi che patrizio io sono,
Nè a voi tacer che un dubbio tal m’offende.