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atto primo 223


il conte.


Troppo è il tuo dir verace: il tuo consiglio
Le mille volte a me medesmo io il diedi;
E sempre all’uopo ei mi fuggì di mente;
E sempre appresi a danno mio che dove
Semina l’ira, il pentimento miete.
Dura scola ed inutile! Alfin stanco
Di far leggi a me stesso, e trasgredirle,
Tra me fermai che, s’egli è mio destino
Ch’io sia sempre in tai nodi avviluppato
Che mestier faccia a distrigarli appunto
Quella virtù che più mi manca, s’ella
È pur virtù; se è mio destin che un giorno
Io sia colto in tai nodi, e vi perisca;
Meglio è senza riguardi andargli incontro.
Io ne appello e te stesso: i buoni mai
Non fur senza nemici, e tu ne hai dunque.
E giurerei che un sol non è tra loro
Cui tu degni, non dico accarezzarlo,
Ma non dargli a veder che lo dispregi.
Rispondi.

marco.


                  È ver: se v’ha mortal di cui
La sorte invidii, è sol colui che nacque
In luoghi e in tempi ov’uom potesse aperto
Mostrar l’animo in fronte, e a quelle prove
Solo trovarsi ove più forza è d’uopo
Che accorgimento: quindi, ove convenga
Simular, non ti faccia maraviglia
Che poco esperto io sia. Pensa per altro
Quanto più m’è concesso impunemente
Fallire in ciò che a te; che poche vie
Al pugnal d’un nemico offre il mio petto;
Che me contra i privati odii assecura
La pubblica ragion; ch’io vesto il saio
Stesso di quei che han la mia sorte in mano.
Ma tu stranier, tu condottiero al soldo
Di togati signor, tu cui lo Stato
Dà tante spade per salvarlo, e niuna
Per salvar te.... fa che gli amici tuoi
Odan sol le tue lodi; e non dar loro
La trista cura di scolparti. Pensa
Che felici non son se tu nol sei.
Che dirò più? Vuoi che una corda io tocchi,
Che ancor più addentro nel tuo cor risoni?
Pensa alla moglie tua, pensa alla figlia
A cui tu se’ sola speranza: il cielo
Diè loro un’alma per sentir la gioia,