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notizie storiche 207

non aver dato favore all’armata, con lettere del Senato fu scritta una lieve riprensione1.

Il giorno 18 d’ottobre, il Carmagnola diede ordine al Cavalcabò, uno de’ suoi condottieri, di sorprender Cremona. Questo riuscì ad occuparne una parte; ma essendosi i cittadini levati a stormo, dovette abbandonare l’impresa, e ritornare al campo.

Il Carmagnola non credette a proposito d’andar col grosso dell’esercito a sostenere quest’impresa; e mi par cosa strana che ciò gli sia stato imputato a tradimento dalla Signoria. La resistenza, probabilmente inaspettata, del popolo spiega benissimo perchè il generale non si sia ostinato a combattere una città che sperava d’occupare tranquillamente per sorpresa: il tradimento non ispiega nulla; giacchè non si sa vedere perchè il Carmagnola avrebbe ordinata la spedizione, il cattivo esito della quale non fu d’alcun vantaggio per il nemico.

Ma la Signoria, risoluta, secondo l’espressione del Navagero, di liberarsi del Carmagnola, cercò in qual maniera potesse averlo nelle mani disarmato; e non ne trovò una più pronta nè più sicura, che d’invitarlo a Venezia col pretesto di consultarlo sulla pace. Ci andò senza sospetto, e in tutto il viaggio furono fatti onori straordinari a lui, e al Gonzaga che l’accompagnava. Tutti gli storici, anche veneziani, sono d’accordo in questo; pare anzi che raccontino con un sentimento di compiacenza questo procedere, come un bel tratto di ciò che altre volte si chiamava prudenza e virtù politica. Arrivato a Venezia, «gli furono mandati incontro otto gentiluomini, avanti ch’egli smontasse a casa sua, che l’accompagnarono a San Marco2.» Entrato che fu nel palazzo ducale, si rimandarono le sue genti, dicendo loro che il Conte si fermerebbe a lungo col doge. Fu arrestato nel palazzo, e condotto in prigione. Fu esaminato da una Giunta, alla quale il Navagero dà nome di Collegio secreto; e condannato a morte, fu, il giorno 5 di maggio del 1432, condotto con le sbarre alla bocca tra le due colonne della Piazzetta, e decapitato. La moglie e una figlia del Conte (o due figlie, secondo alcuni) si trovavano allora in Venezia.

Nulla d’autentico si ha sull’innocenza o sulla reità di questo grand’uomo. Era da aspettarsi che gli storici veneziani, che volevano scrivere e viver tranquilli, l’avrebbero trovato colpevole. Essi esprimono quest’opinione come una cosa di fatto, e con quella negligenza che è naturale a chi parla in favore della forza. Senza perdersi in congetture, asseriscono che il Carmagnola fu convinto coi tormenti, coi testimoni e con le sue proprie lettere. Di questi tre mezzi di prova il solo che si sappia di certo essere stato adoprato è l’infamissimo primo, quello che non prova nulla.

Ma oltre la mancanza assoluta di testimonianze dirette storiche, che confermino la reità del Carmagnola, molte riflessioni la fanno parere improbabile. Nè i Veneziani hanno rivelato mai quali fossero le condizioni del tradimento pattuito; nè d’altra parte s’è saputo mai nulla d’un tale trattato. Quest’accusa è isolata nella storia, e non si appoggia a nulla, se non a qualche svantaggio di guerra, il quale anche si spiega senza ri-

    di procedere contro di lui, per essere stato rotto in Po da’ galeoni del Duca di Milano ai 21 di giugno passato, in vitupero del Dominio, e per non aver fatto il suo dovere immo vilissime essersi portato; immo perchè andò pregando gli altri che fuggissero via. Sanuto, Rer. Ital. XXII, 1017.

  1. Navagero, Stor. Ven.; Rer. Ital., XXIII, 1096.
  2. Sanuto, Rer. It. XXII, 1028.