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CAPITOLO IV




DELLA PARTE CHE EBBERO I PAPI NELLA CADUTA DELLA DINASTIA LONGOBARDA.


È uno de’ punti della storia, sui quali i giudizi de’ fatti, dell’intenzioni, e delle persone, sono i più discordi e i più imbrogliati, perchè è stato quasi sempre in mano di scrittori di partito. Le notizie che ce ne rimangono, sono già sospette nella loro origine, poichè si trovano a un dipresso tutte, o nelle lettere de’ papi stessi, cioè d’una parte interessata, o nelle vite di essi scritte da Anastasio, o da chiunque fosse, con una scoperta parzialità. In quanto ai moderni, alcuni, scrivendo in odio della religione, in tutto ciò che i papi hanno fatto, voluto, detto, o anche sofferto, non videro altro che astuzia o violenza; altri, senza un fine irreligioso, ma ligi alla causa di qualche potentato, il quale era o credeva d’essere in questione di non so che diritti coi papi, cercarono di metter sempre questi dalla parte dell’usurpazione, e del torto. Alcuni de’ loro apologisti sostennero coi mezzi medesimi la causa contraria. Quindi da una parte e dall’altra questioni mal posto, o a caso o a disegno, dissimulato o travisato ciò che non faceva per la causa protetta dallo scrittore, discussioni tenebrose d’erudizione o di princìpi introdotti opportunamente, nel momento in cui le cose potevano cominciar a diventar chiare; dimanierachè fortunato il lettore che s’accorge di non aver ricavata da que’ libri la vera cognizione de’ fatti.

    alii o aliis, quel necne così fuori di concerto non è forma straniera, è strafalcione; non è d’un trascurato che dimentica, è d’un ignorante che va a tasto, e tira a indovinare. E alla disattenzione d’un rifacitore ignorante, piuttosto che a una strana leggerezza dell’autore, pare che sia da attribuirsi anche una differenza di tutt’altro genere, e che riguarda un fatto positivo. Quadraginta alii duces per quadraginta civitates constitutis, si legge nel codice di Bamberga, dove gli altri hanno: Sed et alii extra hos in suis urbibus triginta duces fuerunt. Pare, dico, difficile che Paolo avesse notizie così vacillanti intorno a un fatto della sua nazione, e fatto che, secondo tutte le probabilità, era durato, senza cambiamento, fino al suo tempo; e s’intende in vece facilmente che un uomo d’un altro paese, e d’un altro secolo, sbagliasse nel rilevare il numero, senza che nessuna cognizione anteriore lo facesse avvedere dell’importanza dello sbaglio. Finiremo con l’osservare una differenza d’un altro genere ancora. È noto che nella descrizione de’ guasti fatti da’ Longobardi in Italia, Paolo seguì, bene o male, Gregorio di Tours; anzi, nella lezione comune si trovano due frasi incidenti prese di pianta da questo scrittore: spoliatis ecclesiis, sacerdotibus interfecti. (Paul. Diac. II, 32; Gregor. Tur. Hist. Franc. IV, 41). Nel codice di Bamberga, a queste parole sono sostituite quest’altre: multae ecclesiae destructae sunt, et multi sacerdotes interfecti. Ora, non par naturale che uno cominci dal sostituire, per arrivar poi all’operazione così semplice di copiare. Aspettando la pubblicazione del codice intero, e il giudizio definitivo degli eruditi, noi crediamo che queste poche osservazioni rendano fin d’ora più probabile la congettura che esso contenga un’interpretazione, una specie di glossa perpetua, fatta da uno che sapeva poco il latino, a uso di quelli che lo sapevano meno di lui. Dall’esserci nel codice medesimo opere d’altri autori, le quali, «tranne poche varianti, corrispondono letteralmente colle edizioni stampate,» il dotto straniero, al quale se ne deve la notizia, argomenta che «le variazioni non si possano attribuire al copista.» E con ragione; ma, dopo ciò, rimane ancora da vedere se l’esemplare trascritto fedelmente da costui contenesse un primo lavoro di Paolo, o un rifacimento d’un altro.