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appendice al capitolo quarto 175

pergebat. Ora, nell’interpretazione proposta, il tamen non avrebbe alcun senso, anzi n’avrebbe uno contradittorio. E riguardo alla seconda relazione, l’illustre scrittore dice bensì: «Ciò che lo storico racconta della giustizia e della tranquillità che regnavano nel paese non fa punto contradizione; giacchè l’aggravio imposto ai Romani non era un’oppressione arbitraria, una prepotenza particolare de’ Longobardi, ma l’applicazione d’una massima generale e uniforme, alla quale i Romani erano avvezzi fino dai tempi degli Eruli e de’ Goti.» Ma non basta che tra le due cose non ci sia contradizione: il contesto accenna evidentemente una correlazione positiva.

Più accreditata, anzi la più accreditata forse di tutte, e l’opinione che Paolo abbia voluto parlare d’una divisione delle terre tra gli antichi possessori e i Longobardi, in sostituzione del tributo annuo, e a imitazione di ciò ch’era stato fatto da altri Barbari, in Italia e altrove. Il qual significato alcuni credono che possa risultare dalla lezione comune di quel passo; ad altri pare di vederlo più apertamente espresso in una variante che Orazio Bianchi pubblicò nelle sue note al libro del Diacono, come presa da un codice della biblioteca ambrosiana. Riferiremo la prima di questo interpretazioni con le parole del dotto scrittore che l’ha più recentemente sostenuta, e più distintamente esposta. «Virgoleggiando quel passo nel seguente modo: populi tamen, aggravati per langobardos hospites, partiuntur, io lo spiego come il Gibbon e molti altri i quali eransi fatti a interpretarlo; cioè, i popoli per altro (i tributarj) aspreggiati con avanie più gravi (aggravati) dagli ospiti longobardi, partirono; che è quanto dire si videro costretti a partire o dividere le loro terre e pertinenze con quegli ospiti maladetti 1

Riserbandoci d’allegare tra un momento le ragioni che fanno ugualmente contro le due interpretazioni, ne opporremo a questa in particolare una già addotta da altri, cioè che, per ricavare un tal senso da tali parole, bisogna sottintenderci troppo. «Mancherebbe l’accusativo o la cosa partita, e sarebbe il passo intero vuoto di senso 2.» Che il Diacono ci avesse lasciato da indurre o da indovinare quanta fosse la parte ceduta; che avesse passata sotto silenzio la cessazione del tributo, potrebbero esser delle sue; ma che abbia tenuto nella penna l’oggetto essenziale della proposizione, e una relazione ugualmente essenziale, e con un nudo e scusso partiuntur intese di dire — divisero le terre co’ Longobardi, — non ci pare che il suo laconismo basti a renderlo verosimile.

A questo inconveniente s’è creduto che riparasse la variante pubblicata dal Bianchi: pro Langobardis hospicia, in vece di per langobardos hospites. Un illustre scrittore, dal quale non possiamo dissentire in un punto particolare, senza riconoscere quanta luce sia venuta da’ suoi diversi lavori alla storia italiana del medio evo, pensò che quella lezione potesse rendere il senso desiderato, venendo tradotta così: «i popoli aggravati divisero allora in favor de’ Longobardi i loro ospizi 3;» e con questo vocabolo credette che fossero particolarmente indicate l’abitazioni, rimanendo sottintese le terre. I signori di Vesme e Fossati, adottando la traduzione nel rimanente, opinarono che il vocabolo hospicia avesse forza di significare direttamente anche le terre sulle quali si pagava

  1. Discorso citato del Prof. Capei; I, 12.
  2. Vesme e Fossati; Op. cit. ibid.
  3. Balbo, Storia d’Italia, Lib. II, Cap. 8. Vedi anche: Appunti per la storia delle città italiane, Età quinta.