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172 | discorso storico |
fino dai primi momenti della conquista, non credo che si possa trovar nulla in contrario, sia nella storia de’ fatti accaduti dopo l’interregno, sia nelle leggi, sia in altri documenti qualunque. Dove si può credere che ci sia un tal pericolo, è in ciò che riguarda lo spoglio intero de’ beni e la riduzione in servitù de’ principali possidenti romani, nel tempo dell’interregno medesimo. E qui, come ognuno vede, la nostra questione non è, per dir così, che un brano di quella ben più vasta, intorno alla condizione degl’Italiani sotto il dominio longobardico. Tra gli scritti in cui questa questione è stata trattata, certamente notabile, e per dottrina e per ingegno, quello de’ signori di Vesme e Fossati, sulle Vicende della proprietà in Italia dalla caduta dell’Imperio romano fino allo stabilimento dei feudi; ed è anche, se non c’inganna la nostra ignoranza, quello dove sono raccolti più fatti per provare «esservi stati, anche ne’ primi tempi dopo la conquista, Romani nobili, Romani pienamente liberi e Romani possessori di beni stabili 1.» Il nostro assunto è molto più ristretto e, per compenso, molto meno difficile di quello che combattono i due valenti collaboratori. Che ci fossero Romani liberi e qualche Romano possessore 2, può star benissimo con la nostra interpretazione, secondo la quale, nell’interregno non sarebbe stata ridotta in servitù che una classe di persone: classe già pochissimo numerosa, e allora avanzo di due carnificine; e lo sproprio non sarebbe stato esteso a tutte quante le terre. De’ fatti allegati in quello scritto, i soli che importino alla piccola nostra questione sono quelli che riguardano i Romani nobili. Nell’esaminarli brevemente, noi ci prevarremo, come abbiam fatto altrove, di più d’un argomento del signor Troya.
Per prova che i nobili non fossero stati spogliati de’ loro beni, adducono i chiarissimi autori la lettera di san Gregorio al clero, all’ordine e alla plebe di Perugia, città stata in potere de’ Longobardi, ripresa poi, e posseduta allora dai Greci. «Se bene questa lettera, scritta in tempo che Perugia era dei Greci, non provi che sotto i Longobardi durasse nella città la distinzione tra l’ordine e la plebe, prova almeno che gli antichi nobili, ossia i decurioni, non vi erano stati al tutto distrutti, ammazzati o spogli dei loro beni 3.» Ma perchè i nobili di Perugia non ammazzati possedessero beni in quel tempo, non è punto necessario che n’avessero conservato il possesso sotto i Longobardi. Scacciati questi, i beni ch’erano stati presi da loro dovettero naturalmente esser restituiti agli antichi padroni o alle loro famiglie.
Adducono poi altre lettere dello stesso pontefice nelle quali è fatta menzione di nobili, sicuramente romani. «Nel tempo che Gregorio aveva la prefettura di Roma, durante il vescovado di Laurenzio in Milano, mandò questi al papa una dichiarazione risguardante i tre capitoli calcedonesi; in qua viri nobilissimi et legitimo numero subscripserant 4. Non v’ha dubio che i Longobardi a quel tempo fossero tuttavia ariani, onde gli uomini nobilissimi che sottoscrissero quella protesta non poterono essere che Italiani; e questo in una città dalla quale molti erano fuggiti al tempo dei Longobardi, ed erano tuttavia lontani (Greg. ep. III, 30) 5.» Ma,
- ↑ Lib. II, Cap. 7.
- ↑ Un certo quale indizio che i possessori romani fossero pochi può esser questo, che nelle carte dell’epoca longobardica, che si trovano nelle collezioni del Muratori, del Lupi, del Fumagalli e del Brunetti, i nomi de’ venditori o donatori di fondi sono la massima parte germanici.
- ↑ Vicende della proprietà in Italia, ecc., pag. 319. Greg. Ep. 1, 60.
- ↑ Greg. Ep. IV, 2. Constantio Episc. Med.
- ↑ Vicende, ecc. pag. 350.