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capitolo quarto 159

nulla contro l’asserzione di Paolo, che nel regno loro si godesse questa invidiabil tranquillità 1. E per lasciar da parte molt’altri, il Denina lo cita ugualmente come una prova; acconsentendo però al Baronio che si levi qualcosa da un elogio che viene da un autore parziale 2.

Ecco l’obiezione del Baronio: «Così Paolo; ma è un Longobardo che parla: e parlano ben diversamente gli altri, che erano vissuti in quel tempo, e principalmente Gregorio papa, il quale a que’ Longobardi dà, per i loro eccessi, il titolo di nefandissima nazione, e riferisce di essi cose affatto, contrarie a quelle che racconta Paolo 3

Ma per levare ogni autorità a quella testimonianza, non ci pare che ci fosse bisogno di ricorrere alla nazionalità del testimonio. Bastava osservare più esplicitamente che Paolo parla del regno d’Autari, cioè di cose passate da circa due secoli. Per render sospetta la verità d’un fatto storico, principalmente di tempi illetterati, si crede con tutta ragione, che basti il non trovarlo riferito se non da uomini venuti molto tempo dopo; e qui non si tratta d’un fatto particolare, ma d’un vasto complesso di fatti, dello stato d’un paese. Di più, lo storico, il quale lo chiama uno stato maraviglioso, ne accenna poi qualche cagione? Nessuna. Se ne può forse vedere la preparazione e il presagio ne’ fatti antecedenti? Paolo medesimo risponde che, nell’epoca dei duchi, cioè in quella che precedette immediatamente quel secol d’oro, molti nobili romani furono messi a morte, come il mezzo più spiccio per impossessarsi de’ loro averi; che nella parte d’Italia invasa e occupata in quell’interregno, furono spogliate chiese, uccisi sacerdoti, diroccate città, distrutte popolazioni 4. Certo, il salto da tali fatti

A così riposato, a così bello
Viver di cittadini, a così fida
Cittadinanza 5,

non è una cosa da ammettersi senza prove e senza spiegazioni, sul semplice asserto d’un postero della sesta o settima generazione 6. È, crediamo

  1. Annali d’Italia, ann. 584.
  2. Rivol. d’It., lib. 7, cap. 9.
  3. Annal. Eccl. ad ann. 585.
  4. His diebus multi nobilium romanorum ob cupiditatem interfecti sunt..... Per hos Langobardorum duces... spoliatis ecclesiis, sacerdotibus interfectis, civitatibus subrutis, populisque, qui more segetum excreverant, extinctis, exceptis his regionibus quas Alboin ceperat, Italia ex maxima parte capta et a Langobardis subjugata est. Paul. Diac., lib. 2, cap. 32.
  5. Dante, Par. XV, 130.
  6. Nella prima edizione avevamo detto in questo luogo, che «quel mirabile elogio è preceduto da certe parole di colore oscuro (Populi tamen aggravati per Langobardos hospites partiuntur), da non potersi nemmeno tradurre con un senso preciso; le quali però, se qualche cosa lasciano intravedere, è tutt’altro che felicità e misericordia.»
    Era, come ogni lettore avrà veduto subito, e come vediamo finalmente anche noi, un dire che non ci si poteva intender nulla, e pretendere nello stesso tempo d’intenderci dentro qualcosa. E di più qualcosa di poco probabile: giacchè, se può esser ragionevole il supporre che il buon diacono, nella scarsità di notizie positive, credesse troppo facilmente a una tradizione vaga; non lo è certamente il supporre che connettesse così male, da parlar di bontà, e di bontà maravigliosa, a proposito, e come per epifonema (Erat sane hoc mirabile, etc.) di fatti dolorosi e spietati. Quindi la migliore, anzi la sola correzione che si potesse fare a quell’osservazione, era di levarla.
    In un’appendice a questo capitolo proporremo una nova interpretazione di quelle parole di Paolo Diacono. E per dir la verità, non sappiamo se questo potrà parere un’ammenda dell’averle così leggermente sentenziate inintelligibili, o una seconda temerità, dopo tante ricerche d’uomini dotti su quel davvero intralciato argomento.