Pagina:Opere varie (Manzoni).djvu/164

158 discorso storico

che nell’applicazione potessero nascere degl’imbrogli, come non c’è più pericolo che, quando due disputano intorno al popolo, uno intenda una cosa, l’altro un’altra, ovvero che non sappiano nè l’uno nè l’altro cosa s’intendano. Tanta è la differenza che passa tra un’epoca barbara, e un’epoca positiva!


CAPITOLO IV




D’UNA OPINIONE MODERNA SULLA BONTÀ MORALE DE’ LONGOBARDI.


Non molto dopo il principio del secolo scorso, alcuni scrittori portarono, de’ barbari invasori dell’impero romano, un giudizio molto più favorevole di quello invalso nell’opinione comune: e i Longobardi specialmente ebbero, non solo apologisti, ma panegiristi celebri. Il sentimento di questi fu poi quasi generalmente seguito dagli scrittori posteriori, e divenne una specie di moda. Tra le varie cagioni di questa rivoluzioncella d’idee, una sarà stata certamente l’essere oramai stucchi dell’antica opinione, non mai ragionata e sempre ripetuta da una folla di prosatori che per la forza dell’argomentazione non la cedevano ai poeti, da una folla di poeti che per l’entusiasmo non la cedevano ai prosatori: prosatori e poeti, i quali, di padre in figlio, deploravano da secoli l’invasione de’ barbari, lo scettro dell’universo strappato di mano alla Donna del Tebro, gli archi atterrati, la civiltà distrutta; e dipingevano così a gran pennellate i barbari come feroci, immani, rozzi e bestiali. Alcuni di que’ pochissimi a cui non piacciono i giudizi senza discussione, e i resultati senza analisi, si misero allora a frugare in quella barbarie; e non c’è da maravigliarsi che siano stati disposti a ricavarne un’opinione diversa, e ad attenersi a quella; come l’infermo giaciuto per un pezzo da una parte, trova un sollievo nel rivoltarsi dall’altra.

Ma per restringerci ai Longobardi, il fondamento sul quale principalmente è stata stabilita l’opinione della loro bontà morale, e della loro dolce maniera di vivere e di lasciar vivere, è il famoso passo di Paolo Diacono: «Questo c’era di mirabile nel regno de’ Longobardi, che non si sentiva mai parlare, nè di violenze, nè d’insidie, nè d’angherie: mai un furto, nè un assassinio: ognuno girava a piacer suo, con la maggior sicurezza1

Il Giannone cita questo passo come una prova, dopo aver definita così la dominazione longobardica: «Regno ancorchè nel suo principio aspro, ed incolto, pure si rendè da poi così placido e culto, che per lo spazio di duecento anni che durò, portava invidia (sic) a tutte l’altre Nazioni 2

Il Muratori, sostenendo il passo medesimo contro un’obiezione del Baronio, osserva che i mali fatti da’ Longobardi ne’ paesi nemici non pro-


  1. Erat sane hoc mirabile in regno Langobardorum: nulla erat violentia, nullae struebantur insidiae, nemo aliquem injuste angariabat, nemo spoliabat, non erant furta, non latrocinia, unusquisque quo libebat, securus sine timore pergebat. Paul. Diac. lib. 3, cap. 16.
  2. Ist. CV., lib. 51 cap. 4, verso la fine.