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152 discorso storico

a comprendere anche lo sculdascio; ma è, dico, più strano ciò che vorrebbe a nova proposizione, cioè che, per gl’Italiani, quella denominazione dovesse indicare esclusivamente lo sculdascio medesimo. Per gl’Italiani, secondo la nova proposizione, il legislatore, dicendo: Vadat unusquisque ad judicem suum, avrebbe voluto dire: andate dal vostro sculdascio; poichè, da una parte il giudice suo indica la giurisdizione personale a norma della diversa nazione, e dall’altra, i giudici propri degl’Italiani erano gli sculdasci.

In quanto al fatto, la discordanza tra esso e la conclusione è ancor più evidente: evidente a segno che non si saprebbe come farla osservare. Il lettore può rammentarsi che quel fatto era un giudizio di quattro vescovi. Ora, s’ha egli a fare osservare che i vescovi non erano sculdasci?

È accaduto (lo diremo apertamente, perchè c’è una ragione manifesta, e un fine utile di dirlo), è accaduto al Romagnosi, nel trattar questo punto di storia, ciò che accade naturalmente a chiunque abbia un attaccamento più vivo e fermo, che considerato, per un’ipotesi non ben determinata o, come si dice, vaga: cioè di gradir subito ogni argomento che paia favorevole ad essa in qualunque maniera, dimenticando che le diverse maniere costituiscono diverse specie, e che queste possono essere incompatibili. Ha fatto come uno che, vedendo da lontano un albero, e avendo fissato che deva essere un albero da frutto, e non un albero boschivo, dicesse prima, fondandosi su un’apparenza qualunque, che su quell’albero ci sono delle mele; poi, cambiando posto, senza però avvicinarsi di più all’albero, dicesse, su un’apparenza diversa, che ci sono delle pesche; poi, girando ancora, concludesse da ciò, che ci sono de’ fichi. Voleva a ogni costo giudici italiani sotto i Longobardi, e li volle giudici stabili insieme e creati all’occorrenza, li volle per tutte le cause e solamente per alcune, vescovi e sculdasci. E di più, eletti o presentati dai Comuni italiani, e confermati o eletti dai Duchi o dai Re lombardi; in qualunque maniera, a piacer di chi legge, pur che siano giudici italiani: come se il saper che ci fossero non dipendesse appunto dal veder quali fossero, e come ci fossero, poichè non è allegato, nè credo che ci sia alcun documento il quale attesti in genere che ci fossero giudici italiani, nè è addotto alcun argomento il quale dimostri che ci dovevano essere. Esempio notabile di quanto importi il non fissarsi in un’opinione prima, non dico d’averla riconosciuta vera, ma d’essersela rappresentata in una forma distinta.

Non abbiamo parlato, nè parleremo d’un altro fatto asserito nella tesi, cioè de’ giudici misti, quando la questione si agiti fra Italiani e Longobardi; perchè quantunque la nota citata al principio di queste osservazioni: Le prove di questa particolarità e delle altre, qui ricordate si vedranno nel seguente paragrafo, sia messa appunto a quelle parole, l’autore non parla più di ciò, nè nel paragrafo accennato, nè altrove. Omissione importante; giacchè, se fosse stata provata questa mistura, sarebbe stato provato implicitamente anche quello de’ due elementi, che n’aveva tanto bisogno. È omissione irreparabile; giacchè, in questo caso, non ci par possibile di congetturare, nemmeno alla lontana, quali potessero esser queste prove.

Proporremo qui in vece, per occasione, come abbiamo detto, una congettura sul significato delle parole: totius populi consensu, che si trovano nel capitolo francico già citato, di Lodovico Pio, e nella legge longobardica di Lotario I, che ne è la copia quasi letterale, e che trascriviamo qui: Ut missi nostri, ubicumque malos scabinos invenerint, ejiciant et cum totius Populi consensu, in eorum loco bonos eligant, et cum electi fuerint, iurare faciant ut scientes injuxte judicare non habeant. L’interpretazione