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150 | discorso storico |
teiss dalle leggi de’ Longobardi, e èchevins da quelle de’ Franchi 1.» Dopo il Sismondi, non so se d’una cosa simile abbiano parlato altro che due scrittori, cioè il Romagnosi che l’ha presa probabilmente da lui, giacchè par più difficile che due intelletti arrivino, l’uno indipendentemente dall’altro, a un punto dove nessuna strada conduce; e il sig. de Savigny, il quale dice solamente, in fine d’una nota: «È un’idea infelicissima quella del Sismondi, che gli Scabini de’ Franchi fossero lo stesso che gli Sculdaesi de’ Longobardi 2.» E non c’era bisogno di più in un libro, nel quale essendo trattato degli uni e degli altri, quell’asserzione gratuita si trovava già confutata implicitamente. E per confutarla pienamente anche qui, senza entrare in una lunga discussione, basterà accennare due delle principali e più incontrastabili differenze che correvano tra quelle due specie di giudici.
Prima differenza: gli Scabini de’ quali parla Lotario giudicavano collegialmente. È una cosa riconosciutissima; e nondimeno, per non lasciarla affatto senza prove, rammenteremo due leggi di Carlomagno, nella prima delle quali, prescrivendo che gli uomini liberi non siano costretti ad assistere ai placiti straordinari, se non sono interessati personalmente in alcuna delle cause che ci si devono trattare, eccettua dall’esenzione «gli Scabini che devono sedere coi giudici 3;» e nella seconda più particolarmente, «i sette Scabini che devono trovarsi a ogni placito 4.» Gli sculdasci longobardi in vece (i quali, del rimanente, continuano a figurare nelle leggi longobardiche, anche dopo la conquista, anzi figurano in una di Lotario medesimo 5) non formavano punto un tribunale collettivo; ma ognuno esercitava la sua giurisdizione in un particolare distretto, sezione di quello del giudice, e chiamato Sculdascia, come quello Judiciaria. Cosa riconosciutissima anch’essa, e in prova della quale non si potrebbero addurre testimonianze che non siano già citate da tutti quelli che hanno trattato del regime longobardico: per esempio, il celebre passo di Paolo Diacono: Rector loci illius, quem Sculdahis lingua propria dicunt 6. Tra le leggi poi, basterà rammentare quella di Liutprando, citata sopra 7, nella quale è prescritto allo sculdascio di non tardar più di quattro giorni a decider le cause portate davanti a lui.
Altra differenza: la carica dello sculdascio era, come quella del giudice, e sotto quella del giudice, una carica giudiziaria insieme e militare. Cosa, dobbiamo ripetere anche qui, riconosciutissima. Argaid, quello sculdascio di cui parla Paolo nel luogo citato or ora, rende conto d’una sua spedizione militare a Ferdulfo, duca (che qui è quanto dir giudice) del Friuli; è rimproverato da lui (a torto; ma non è una di quelle circostanze che
- ↑ Chap. VI; Ibid. pag. 384.
- ↑ Storia del Diritto romano nel medio evo, Cap. IV, 3: Del Conte e de’ suoi luogotenenti.
- ↑ (Et vicarii comitum) ad ingenuos homines nulla placita faciant custodire, postquam illa tria custodiunt placita quae instituta sunt; nisi forte contingat ut aliquis aliquem accuset: exceptis illis Scabinis qui cum Judicibus residere debent. Car. M. I. 69.
- ↑ Ut nullus ad placitum banniatur (sia citato), nisi qui causam suam quaerit, aut si alter ei querere debet; exceptis Scabinis septem, qui ad omnia placita esse debent. Id. I. 116.
- ↑ Auctor verofacti si fuerit Advocatus, vel Praepositus, sive Sculdius.... (Cod. Esten.: Sculdais) Loth. I, I. 53; Rer. It., T. I, Part. II, pag. 143.
- ↑ De gest. Lang. Lib. VI, cap. 24.
- ↑ Pag. 200. Aggiungeremo qui la formola con la quale si citava davanti al giudice lo sculdascio negligente, anche perchè è uno de’ pochissimi documenti in cui è nominata la Sculdascia. Sculdasci Petre, te appellat Martinus, quod ipse venit cum misso (aut epistola) de suo Sculdascio ad te, quod tu faceres sibi justitiam de Donato, qui est in tua Sculdascia; et tu non fecisti sibi justitiam intra quatuor dies. Ex Cod. Veronensi Biblioth. S. Euphemiae; apud Cauciani, Leg. Barb. T. V, pag. 78.