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appendice al capitolo terzo | 133 |
di Lotario, che disse: ut Langobardus aut Romanus 1? Ma di più nelle leggi franco‑longobardiche, e in quelle stesse di Lotario, le adunanze del popolo sono menzionate spesso sotto il nome di placiti. Ora, c’è egli in queste leggi, o in qualche altro documento, qualcosa che indichi o permetta di congetturare due sorte di placiti, gli uni di Longobardi e Franchi, gli altri d’Italiani? E se nelle leggi puramente longobardiche, c’è pure qualche traccia sicura d’adunanze popolari, c’è egli la minima traccia di adunanze distinte per le due nazioni?
Sicchè, al quesito: Che cosa troviamo noi sotto i primi re d’Italia francesi per l’Italia?, e alla soluzione: Leggasi la legge 48 di Lotario, si può rispondere con tutta sicurezza che, per trovare in quella legge de’ giudici italiani, quando i litiganti siano italiani, bisogna far come fece il maestro di casa di Giuseppe per trovar la coppa nel sacco di Beniamino: metterceli 2.
NOTA.
Altro argomento risulta dalle Epistole di S. Gregorio, al tempo di Teodolinda dirette all’ordine, al popolo e al clero di Milano.
OSSERVAZIONI.
Lettere di san Gregorio all’ordine, al popolo e al clero di Milano? E come mai i dotti, i quali hanno fatte così varie e così diligenti ricerche per raccogliere argomenti della conservazione de’ municipi romani sotto i Longobardi, non n’hanno parlato mai? Certo, quella parola ordine, marca, per dir così, del municipio, e a proposito di Milano, farebbe molto per la loro causa. Ma se non n’hanno parlato, è perchè non ce n’è nessuna. Ce n’è una ai preti, ai diaconi e al clero della Chiesa milanese 3, e due altre al popolo, ai preti, ai diaconi, al clero, l’una: della Chiesa milanese, l’altra: milanese 4; che son cose molto diverse. E del resto, per ricavarne qualcosa intorno allo stato delle città italiane sotto i Longobardi, quel titolo, se ci fosse, non basterebbe punto: ci vorrebbero anche tutt’altre lettere; perchè queste (la prima e la seconda indubita-
- ↑ Nella legge citata alla pag. 176.
- ↑ Del resto, quella legge non fu fatta originariamente da Lotario, nè per i Longobardi, ma è una delle molte che i re o imperatori franchi in Italia presero dall’arsenale de’ capitolari e delle leggi franciche; è una di quelle che, dice Lotario medesimo (I. 70) excerpsimus de Capitulare bonae memoriae Avi nostri Caroli, ac Genitoris nostri Ludovici Imperatoris. Si trova infatti, parola per parola, meno alcune varianti puramente grammaticali, nel Capitulare Wormaliense anni 829, di Lodovico Pio, padre di Lotario. La trascriviamo qui da quel capitolare per intero, attesa la sua brevità. Ut missi nostri, ubicunque malos scabineos inveniunt, eiiciant, et totius populi consensu in loco eorum bonos eligant. Et cum electi fuerint, jurare faciant ut scienter injuste judicare non debeant (tit. 2, cap. 2. Baluzii, Capitularia Regurn Francorum; Parisiis, 1677, T. I, col. 665. Si veda anche la nota del Baluze, T. II, col. 1113). L’ultimo figlio di Lodovico, Carlo il Calvo, promulgò poi di nuovo in Francia la stessa legge o, per conservare il termine speciale usato là da’ Carolingi, lo stesso capitolo, con questa breve aggiunta in principio: Ut, sicut in capitulis avi et patris nostri continetur, Missi nostri, ubi boni Scabinei non sunt, bonos scabineos mittant, et ubicunque etc. (Capit. Kar. Calvi, tit. 45; apud Carisiacum, ann. 873. Baluz. T. II, pag. 232). I capitoli di Carlomagno, ai quali allude il nipote, sono probabilmente quelli in cui vien prescritto che s’eleggano scabini boni et veraces et mansueti (Capitulare I, ann. 809, cap. 22; Baluz. T. I, col. 466, e quales meliores inveniri possunt (Capit. II ejusd. anni, cap. 11; Ibid. col. 472; inserito da Carlomagno medesimo nelle leggi longobardiche (I. 22), con l’aggiunta: et Deum timentes). Non credo che ci siano capitoli o leggi di Carlomagno che prescrivano anche di deporre gli scabini tristi.
- ↑ S. Greg. Epist. III, 29.
- ↑ Ibid. XI, 4 e 16.