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130 discorso storico

arbitrario. Se i loro legislatori, dice, furono così larghi nel lasciare agl’Italiani le loro leggi civili e religiose, quanto più presumere si deve avere loro lasciato il regime comunale? Anche prendendo la questione ne’ termini in cui è posta, cioè ammettendo che la distruzione de’ municipi non potesse venire che da gelosia di dominio, e d’un dominio meramente governativo, e per opera di legislatori; ammettendo di più che il non avere i Longobardi ariani proibito con decreti l’esercizio della religione cattolica, basti per poter dire che lasciarono in fatto agl’Italiani le loro leggi religiose; chi potrà mai intendere che le leggi civili, ristrette a relazioni private, e le leggi religiose, non aventi forza materiale d’esecuzione, dovessero dar più gelosia del regime municipale, che costituiva una gerarchia politica, conferiva un potere effettivo, era in qualche maniera una parte del governo? Anzi una parte importantissima, se si dovesse ammettere ciò che la Nota aggiunge immediatamente dopo, e che passiamo a trascrivere.


NOTA.


Ciò non è ancor tutto. Come osservò il Giannone, i Franchi che succedettero ai Longobardi non sovvertirono il regime che trovarono stabilito, ma vi aggiunsero miglioramenti. Ora che cosa troviamo noi sotto i primi re d’Italia francesi per l’Italia? Leggasi la legge 48 di Lotario, nipote di Carlo Magno, fatta per l’Italia. Che cosa dispone? Che i messi regj depongano gli Scabini (ossia giudici inferiori) malvagi, et cum totius populi consensu bonos eligant. Qui Muratori soggiunge «adunque all’elezione degli Scabini concorreva il consenso del popolo. Ed essendo eglino stati un Magistrato particolare del popolo, sembra pure che questo ritenesse qualche specie di autorità. — Ma come poteva il popolo eleggerli se non vi era qualche ordine o collegio, od università dove presiedessero Magistrati che regolassero questa faccenda? — Apparteneva anche al popolo il rifacimento viarum, portuum et pontium, e talvolta del palazzo regio, come apparisce dalla legge 41 del medesimo Lotario.» (Antichità Italiane, Diss. 18).


OSSERVAZIONI


S’ammetta, dico, come fa la Nota, l’induzione del Muratori; s’ammetta di più che, a motivo dell’inettitudine rozza dei Longobardi all’amministrazione economica comunale, questa apparteneva agl’Italiani, come vuole la Nota medesima; e s’avrà che de’ magistrati italiani regolavano l’elezione degli scabini. Par egli una cosa di poco, e da non dar gelosia? È vero che la Nota chiama quell’amministrazione semplicemente economica; ma l’averla qualificata in una maniera non toglie che la rappresenti in un’altra. È vero che, nel paragrafo seguente l’autore fa nascere il poter politico de’ municipi molto più tardi: un poter politico, dice espressamente, per l’addietro mai posseduto; ma veda il lettore se il presiedere e regolare l’adunanze d’un popolo che dà il suo suffragio per la nomina di giudici, sia un’attribuzione economica o politica. E qual era poi questo popolo?

Ma una tal questione, anzi tutta quest’argomentazione sulla legge di Lotario I vuol essere esaminata più particolarmente e da sè; tanto più che quella legge riguarda direttamente i giudici, che sono l’oggetto principale, non potendo esser l’unico, di queste osservazioni. Lasciamo dunque da una parte la gelosia, e la questione de’ municipi, che qui c’entrano