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126 discorso storico

Questa degnità 1 addita il fonte inesausto di tutti gli errori presi dall’intiere nazioni, e da tutti i Dotti d’intorno a’ Principj dell’Umanità; perocchè da’ loro tempi illuminati, colti e magnifici, ne’ quali cominciarono quelle ad avvertirle, questi a ragionarle, hanno estimato l’Origini dell’Umanità; le quali dovettero per natura essere piccole, rozze, oscurissime 2

Anzi se si guarda meglio, l’opinione dell’autore dell’Antichità Longobardico‑milanesi non è neppur fondata sulle cose del suo tempo; lo è appena sull’idea di ciò che avrebbe dovuto essere. Nel paese stesso dove scriveva l’autore, in quel paese dove sul dominio longobardico erano passate le repubbliche de’ secoli posteriori, rimaneva ancora una traccia di questa prima consuetudine del medio evo, nelle preture feudali, in cui il conte, il cavaliere riteneva in titolo l’autorità di giudicare, e la conferiva a un suo mandato. Ancor più presente alle menti, quantunque lontane, doveva essere il fatto delle giustizie signorili, così di fresco, e così clamorosamente abolite in Francia. Anzi non si può dire, anche al giorno d’oggi, che siano totalmente abolite in ogni parte d’Europa.

Ma per concludere intorno ai giudici; quando non si volesse arrivar fino ad ammettere, o che gl’Italiani avessero sotto i Longobardi grado di milizia, o che fossero riguardati come indipendenti dalla giurisdizione sovrana di questi (supposizioni egualmente portentose), bisogna dire che i giudici fossero tutti della nazione conquistatrice. Le prove materiali ci mancano; ma, ridotti ad argomenti d’induzione, a congetture, perchè non ci atterremo a quella sola che è in armonia con tutte le nozioni che si hanno del dominio, longobardico, a quella che si spiega tanto facilmente col resto della storia, e che a vicenda serve a spiegarlo?

Riepilogando il detto fin qui, avremo: che una parte della legge romana cadde da sè; che la parte di legge conservata non esentava coloro che la seguivano da ogni altra giurisdizione del popolo padrone; che la legge stessa rimase sempre sotto l’autorità di questo; e che da esso furono sempre presi i giudici che dovevano applicarla 3. Ristretta in questi limiti, la concessione di vivere sotto la legge romana è tale che, per trovarne il motivo, non c’è più bisogno di ricorrere alla clemenza. Se può dare un’altra cagione, pur troppo più naturale.

Ed ecco finalmente su questo punto la nostra congettura.

Tutti i barbari che riuniti in corpo di nazione si gettarono su qualche parte dell’impero romano, avevano delle leggi loro proprie, non scritte, ma tradizionali. Queste, o fossero leggi propriamente dette, o semplici consuetudini, erano naturalmente fondate sui bisogni, sui costumi e sulle idee di quelli per cui e da cui erano fatte: costumi e idee che in parte sussistono ancora, e che sono così esattamente descritte nella Germania di Tacito, che qualche volta par di sentirlo parlare del medio evo, qualche volta perfino de’ nostri tempi. Portarono i barbari quelle leggi nel paese conquistato, le accrebbero, le riformarono, secondo i novi bisogni, ma sempre con quelle mire generali che abbiam detto. Ora queste leggi, ch’erano l’opera loro, la loro proprietà, perchè le avrebbero comunicate

  1. Nel frasario del Vico, degnità equivale ad assioma.
  2. Scienza nuova. Lib. 1; Degli Elementi, II.
  3. In un’appendice annessa al presente capitolo esporremo alcune osservazioni sugli argomenti addotti dal fu professor Romagnosi nell’opera Dell’indole e dei fattori dell’incivilimento, per provare che gl’Italiani, sotto i Longobardi, avevano giudici della loro nazione.