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124 discorso storico

II.


Ma quand’anche, dai documenti che si sono accennati, e da altri, se ce n’è, si volesse arguire che gl’Italiani avevano leggi, e civili e criminali, loro proprie, per ciò che riguarda le relazioni tra privati, resterebbe da domandare sotto che legge vivevano per ciò che riguarda le relazioni tra i privati e la pubblica autorità. Documenti che possano condurre alla soluzione del quesito non n’abbiamo; ma se ne può far di meno. Sappiamo che i Longobardi imposero a degl’Italiani il tributo della terza parte della raccolta: ecco certamente per questi una legge, che non era nel codice teodosiano. Nelle leggi franciche s’incontrano a ogni passo le prove, per chi n’avesse bisogno, che la nazione vincitrice faceva, quando lo trovava a proposito, delle leggi per la vinta: nelle longobardiche non si vedono, è vero, come in quelle, delle prescrizioni per i Romani; ma sarebbe troppo strano l’argomentar da questo silenzio un’esenzione: piuttosto, accozzando questo fatto con altri, se ne potrebbe concludere, che gl’Italiani sotto i Longobardi conservavano meno importanza, ritenevano meno la forma d’un popolo, che i Gallo‑romani sotto i Franchi. È certo che lo stabilimento d’una nazione sovrana e armata in Italia creò, tra questa e i primi abitatori (poichè non furono scannati tutti), delle relazioni particolari; e queste erano regolate, come si fosse, dai soli vincitori. Quando si dice dunque che gl’Italiani avevan la loro legge, non s’intenda che questa fosse il limite della loro ubbidienza, e una salvaguardia della loro libertà; ma si badi che, oltre di quella, n’avevano un’altra, imposta da una parte interessata. Il non trovarla scritta, il non conoscerla noi, nemmeno per tradizione, può lasciar supporre che fosse una legge di fatto, sommamente arbitraria ed estesa nella sua applicazione, e a un tempo terribilmente semplice nel suo principio.


III.


Che poi la legge romana conservata fosse soggetta all’autorità legislativa della nazione dominatrice, è piuttosto un fatto da accennarsi che un punto da discutersi, chè nessuno, credo, ha sognato che gl’Italiani avessero, sotto i Longobardi, conservata, anzi acquistata la facoltà e il mezzo di far leggi. Rammenteremo solamente, per un di più, la legge citata sopra, nella quale Liutprando regola l’uso della legge romana, e impone una sanzione penale; e per conseguenza esercita in questo caso insieme co’ suoi giudici e con tutti gli altri Fedeli longobardi, un’azione sovrana su quella legge.


IV.


Quali erano finalmente i giudici degl’Italiani? «In que’ secoli, afferma il Muratori, la diversità delle leggi indusse la diversità anche de’ giudici, dimanierachè altri erano Giudici romani, cioè periti della legge romana, altri longobardi, altri franchi, ecc. 1» Non si vede qui chiaramente se il Muratori intenda che i giudici per la legge romana fossero romani di nazione. Sia però quel ch’esser si voglia, il documento da lui addotto per provar la diversità de’ giudici, non serve a nulla nel caso nostro. È

  1. Praef. in Leges Langob.; Rer. It., tom. I, par. II, p. 4.