Pagina:Opere varie (Manzoni).djvu/129


capitolo terzo 123

nanza di Pipino è scritta così variamente ne’ diversi esemplari, che non se ne può nemmeno ricavar la certezza che in essa si stabiliscano le relazioni tra Longobardi e Romani. Dimanierachè non pare che se ne possa sperare alcun lume.

Nella collezione delle leggi de’ Barbari 1, fu la prima volta pubblicato un codice col titolo di Lex Romana, compilato evidentemente sotto una dominazione barbarica. Pare a prima vista che in questo documento si dovrebbe trovare l’intera soluzione del presente quesito; ma, come la più parte de’ documenti di que’ secoli, anche questo fa nascere molto più dubbi che non ne dissipi. Due ragioni impediscono di cavarne alcuna conseguenza per i due secoli del regno longobardico: 1.° l’incertezza del tempo, in cui quel codice fu scritto: 2.° il non sapere che grado d’autenticità avesse, nè dove precisamente fosse in vigore 2. Del resto, contiene prescrizioni, le quali certamente non potevano aver forza di legge nell’epoca di cui parliamo; e, tra l’altro, quella che proibisce, sotto pena di morte, le nozze tra un barbaro e una Romana, e viceversa 3. Che un Longobardo potesse incorrere nella pena capitale, in forza d’una legge romana, è una supposizione indegna, non solo di fede, ma d’esame: e non c’è nemmen bisogno d’opporle la legge di Liutprando già citata, la quale parla degli effetti delle nozze tra un Romano e una Longobarda 4. Un altro titolo di quella Legge Romana contiene prescrizioni per i matrimoni de’ senatori 5. Certo, farebbe una bella scoperta chi potesse trovar de’ senatori ne’ paesi d’Italia posseduti da’ Longobardi.

Due cose in quel codice ci par che meritino una particolare osservazione: la prima, che non ha testi di legge romana, ma oscure interpretazioni; e queste disposte in una serie non ragionata, prese a caso, scarse, mancanti, tronche, nelle cose più essenziali, e piene a un tempo di superfluità; dimanierachè, per intendere come un popolo non avesse altre leggi che queste, bisogna supporlo in uno stato completo di disordine. L’altra cosa da osservarsi sono le parole barbariche di significato legale e importante, le quali provano che anche la parte conservata di legge romana è stata alterata e modificata dal dominio dei barbari. Nella prefazione fatta a quel codice dal primo editore ne sono addotti alcuni esempi, e molt’altri si possono vedere nel codice stesso. Tra l’altre cose, c’è nominato il Fredo, come una consuetudine 6.

Forse un esame attento della lingua di quel codice, e altre osservazioni sulla sostanza di esso, potrebbero condurre a scoprir l’epoca in cui fu compilato; ma, per fortuna, noi non abbiamo bisogno d’entrare in un tal laberinto: basta al nostro assunto il poter dire che, della legge romana, non rimasero in vigore, se non frammenti, in quella parte d’Italia che fu sottratta all’impero greco dall’occupazione longobardica.


  1. Leg. Barbar.; tom. 4, pag. 461.
  2. Vedi la dotta e sensata prefazione al codice stesso. Leg. Barb, tom. 4, pag. 461.
  3. Nullus Romanus Barbara cujuslibet gentes uxorem, habere presumat, nec Barbarus Romana sibi in conjugio habere presumat; quod si fecerint, capitalem sententiam feriantur. Lib. 3, cap. 14, pag. 479.
  4. Si Romanus homo mulierem Langobardam tulerit, etc. Liutpr. Leg., lib. 6, 74.
  5. Lib. 18, cap. 3.
  6. Salvum Judices fretum (sic). Lib. 4, c. 19. Freda o Fredo (da Friede, pace) prezzo della pace, pagamento della sentenza, la quale, fissando la composizione, faceva cessare la Faida (Fehde lo stato di guerra tra l’offeso e l’offensore). Ora si direbbe sportula. In tutte le leggi longobardiche, prima di Carlomagno, non è mai, per quel ch’io abbia potuto vedere, parlato di Freda: la qual cosa potrebbe essere un indizio per credere quel codice d’una età posteriore alla conquista.