Pagina:Opere varie (Manzoni).djvu/128

122 discorso storico


3.° Chi n’era il legislatore vivo?

4.° Chi erano i giudici, che l’applicavano?

Se si prescinde da queste ricerche, bisogna almeno riconoscere, che quelle parole – Gl’Italiani sotto il dominio de’ Longobardi conservarono la loro legge — non danno un concetto; ma sono di quelle cortesi parole, le quali, come diceva Mefistofele, si presentano per l’appunto quando manca il concetto.


I.


La legge citata di Liutprando non par che supponga l’uso della romana, se non ne’ casi civili; poichè parla solamente di contratti e di successioni. Ma siccome lì non era il luogo di parlare dell’altre sue possibili applicazioni, così quel silenzio non basta a provare che la legge romana fosse abrogata in tutte le disposizioni d’un altro genere. Nelle cause criminali era in vigore per gl’Italiani quella legge, o erano essi giudicati secondo le longobardiche? E nelle cause criminali tra persone di diversa nazione, come si procedeva? Più sagaci e attente ricerche delle nostre potranno forse condurre altri alla soluzione di questo quesito. Si veda intanto, se una legge del figlio di Carlomagno, Pipino, re in Italia de’ Franchi e de’ Longobardi, possa, quantunque posteriore alla conquista di Carlo, e bastantemente imbrogliata, dar qualche lume per i tempi di cui parliamo.

«Secondo la nostra consuetudine, se ci sarà una lite tra un Longobardo e un Romano, intendiamo che, per i Romani, si decida secondo la loro legge. E anche le scritture, le facciano secondo quella; e secondo quella giurino: così gli altri. Quanto alle composizioni (risarcimento pecuniario de’ danni e dell’offese), le facciano secondo la legge dell’offeso; e così viceversa i Longobardi con loro. Per tutte l’altre cause, si stia alla legge comune, che fu aggiunta nell’editto da Carlo, eccellentissimo re de’ Franchi e de’ Longobardi nota

Quando Pipino dice: «secondo la nostra consuetudine,» non si vede chiaramente se parli della consuetudine della nazione a cui apparteneva per nascita, o di quella su cui regnava; e quindi non si può sapere se accenni qui una costumanza antica del regno longobardico, o una di quelle che i re franchi v’introdussero. Un’altra strana difficoltà presenta questa confusissima legge. Come applicare alla legge romana la composizione pecuniaria per l’offese? Tanto le leggi de’ Longobardi quanto quelle de’ Franchi, discendono a particolari minutissimi su questo proposito: tanti soldi per una ferita alla testa, al petto, al braccio; tanti per un occhio cavato; tanti per un dito, o per il naso tagliato; tanti per un pugno; per avere affrontato uno nella strada nota. Ma quando chi aveva ricevuto uno di questi complimenti, era romano, come poteva l’offesa comporsi con la sua legge, nella quale non c’era, o se si vuole, non rimaneva più traccia veruna d’una sanzione di tal genere? S’osservi finalmente che quest’ordi-

1 2

  1. «Sicut Consuetudo nostra est, ut Langobardus aut Romanus, si evenerit, quod causam inter se habeant, observamus, ut Romani successores juxta illorum legem habeant (var.: ut romanus populus successionem eorum juxta suam legem habeat). Similiter et omnes sciptiones secundum legem suam faciant. Et quando jurant, juxta legem suam jurent. Et alii similiter. Et quando componunt, juxta legem ipsius, cuius malum fecerint, componant. Et Langobardos illos (var.: Langobardus illi) convenit similiter componere. De ceteris vero causis, communi lege vivamus, quam Domnus Carolus, excellentissimus Rex Francorum atque Langobardorum, in edictum adjunxit.» Pipini Reg. Lex 46; Rer. It., tom. I, par. II, pag. 124.
  2. Ved. le leggi di Rotari, ed altre.