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capitolo secondo 119

all’assunto, o severamente discussi! Ma dopo que’ due scrittori, nessuno ch’io sappia, s’è portato al punto dove possono unirsi le due strade, per arrivare a più importanti scoperte nella storia de’ tempi oscuri del medio evo. Riman dunque intentato un gran mezzo, anzi il solo: e perchè non si potrà sperare, che alcuno sia per tentarlo? L’ammirazione per i segnalati lavori dell’ingegno è, certo, un sentimento dolce e nobile; una forza, non so se ragionevole, ma comune, ci porta a provare ancor più un tal sentimento, quando gli uomini che ce l’ispirano, sono nostri concittadini; ma l’ammirazione non deve mai essere un pretesto alla pigrizia, non deve mai includer l’idea d’una perfezione che non lasci più nulla da desiderare, nè da fare. Nessun uomo è tale da compir la serie dell’idea in nessuna materia; e, come nell’opere della produzion materiale, così in quelle dell’ingegno, ogni generazione deve vivere del suo lavoro, e riguardare il già fatto, come un capitale da far fruttare, non come una ricchezza che dispensi dall’occupazione.

Che se le ricerche le più filosofiche e le più accurate sullo stato della popolazione italiana durante il dominio de’ Longobardi, non potessero condurre che alla disperazione di conoscerlo, questa sola dimostrazione sarebbe una delle più gravi e delle più feconde di pensiero che possa offrire la storia. Un’immensa moltitudine d’uomini, una serie di generazioni, che passa sulla terra, sulla sua terra, inosservata, senza lasciarci traccia, è un tristo ma importante fenomeno, e le cagioni d’un tal silenzio possono riuscire ancor più istruttive che molte scoperte di fatto.


CAPITOLO III




PROBLEMI SULLA FACOLTÀ LASCIATA AGLI ITALIANI
DI VIVERE CON LA LEGGE ROMANA.


Al Muratori, come s’è detto, e ad altri, è parsa questa concessione un bel tratto di clemenza, e una prova, tra molte, della dolcezza e della saviezza de’ conquistatori longobardi. E questa opinione pare la più universalmente ricevuta da quelli che vogliono averne una sulle cose di que’ tempi.

Che scrittori i quali non si stancano d’ammirare l’equità, la sapienza, la previdenza delle leggi de’ Longobardi, riguardino poi con clemenza il non averne essi chiamati a parte i vinti, è una cosa che non s’intende così facilmente. Vogliam forse dire che a questi non piacessero, e che a que’ buoni vincitori paresse un’ingiustizia il costringerli a ricevere anche un benefizio? Ma perchè non piacevano ai vinti quelle leggi così perfette, così scrupolose, così giudiziose nel rispettare, nel regolare ogni diritto? Per un cieco affetto all’antica legislazione? o per orgoglio nazionale? o perchè non si confacessero alle loro abitudini, e non s’applicassero ai casi comuni nel loro modo di vivere? dimanierachè, ottime per il popolo conquistatore, fossero scarse, superflue, insomma non adattate per essi? Ma non ci hanno detto quegli stessi scrittori, che Longobardi e Italiani erano un popolo solo? E quale è tra queste ipotesi, che non faccia a’ cozzi con quell’opinione?