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capitolo secondo 117

scrittore che non pensava a dare una notizia, e d’estendere con induzioni fondate alcune poche cognizioni positive. Quest’arte, nella quale alcuni stranieri fanno da qualche tempo studi più diligenti, e di cui lasciano di quando in quando monumenti degni di grande osservazione, quest’arte, se non mi inganno, è, a’ giorni nostri, poco esercitata tra di noi. Eppure ci par che si possa dire che ha avuto il suo cominciamento e un progresso non volgare in Italia. Due uomini certamente insigni aprirono in essa due strade che, all’imboccatura, per dir così, posson parere lontane l’una dall’altra, e affatto diverse; ma che tendono naturalmente a riunirsi in una, in quella sola che può condurre a qualche importante verità sulla storia del medio evo.

Uno, l’immortale Muratori, impiegò lunghe e tutt’altro che materiali fatiche nel raccogliere e nel vagliare notizie di quell’epoca: cercatore indefesso, discernitore guardingo, editore liberalissimo di memorie d’ogni genere: annalista sempre diligente, e spesso felice nel riconoscere i fatti, nel rifiutare le favole che al suo tempo passavan per fitti, nell’assegnar le cagioni prossime e speciali di questi; esecutore animoso e paziente del disegno vasto e suo, di rappresentare in complesso, e per capi, l’istituzioni, le costumanze, lo stato abituale insomma del medio evo; e qui, come nella storia propriamente detta, sceglitore e ordinatore, per lo più, cauto, e spesso sagace de’ materiali che si trovavano sparsi in una gran quantità e varietà di documenti, scovati in gran parte da lui; risolvette tante questioni, tante più ne pose, ne sfrattò tante inutili e sciocche, e fece la strada a tant’altre, che il suo nome, come le sue scoperte, si trova e deve trovarsi a ogni passo negli scritti posteriori che trattano di quella materia.

Contemporaneamente al Muratori, ma in una sfera più alta, meno frequentata, quasi sconosciuta, Giambattista Vico andò in cerca di princìpi generalissimi intorno alla comune natura delle nazioni. Non si propose d’illustrare alcuna epoca speciale di storia, ma cercò di segnare un andamento universale della società nell’epoche le più oscure, in quelle di cui sono più scarse e più misteriose le memorie, o le tradizioni. Volendo per lo più trattare di tempi in cui non vissero scrittori: persuaso che, quando gli scrittori apparvero, l’istituzioni, le credenze sociali erano già tanto modificate, le tradizioni di que’ tempi antichissimi già tanto sfigurate dai nuovi fatti stessi, che non potevano essere rettamente intese, nè trasmesse dagli scrittori, ma persuaso nello stesso tempo, che l’idee di questi, come figlie in gran parte degli avvenimenti e delle dottrine, anteriori, dovevano serbarne delle tracce importanti e caratteristiche; riguardò questi scrittori come testimoni, in parte pregiudicati, in parte disattenti, in parte smemorati, ma però sempre testimoni di fatti generali e rilevanti; e come tali si diede a esaminarli. Facendo poco conto de’ loro giudizi, cercò una verità in quell’idee che par piuttosto che trasmettano, come venuto da più alta origine; e, rifiutando le loro conclusioni, stabili delle norme per cavarne di più fondate dalle loro rivelazioni, per dir così, involontarie. Queste norme, si propose di derivarle dalle proprietà della mente umana e dall’esperienza de’ fatti più sconosciuti; e, certo, quand’anche, siano troppo più vaste che fondate, non sono mai d’una fallacia volgare. Si studiò di raccogliere da epoche le più distanti l’una dall’altra, da costumi in apparenza disparatissimi, degli elementi simili, ne’ punti più importanti della vita sociale; e fu, come delle volte acutissimo, così dell’altre troppo facile nella scelta di questi elementi, strascinato a ciò da quella sua unità di mire intorno allo sviluppo della natura umana. Da’ secoli eroici e dal medio evo, dalle leggi e dalle poesie, dai simboli e dai monumenti, da etimologie qualche volta ingegnose e che sono una scoperta, ma qualche volta arbitrario e smentite da cognizioni venute dopo di lui;