Pagina:Opere varie (Manzoni).djvu/115


capitolo secondo 109

Si noti qui di passaggio, che il primo e debole principio di concittadinanza tra Longobardi e Romani, pare che si possa vederlo ne’ proemi alle leggi costituite dai re di nazione Franca; ne’ quali, per la prima volta, si fa menzione dell’assistenza de’ vescovi e degli abati 1. Se, come pare più che probabile, si deve intendere di tutti i prelati del regno, e non di quelli soli che fossero longobardi o franchi, si comincia qui a veder qualche Italiano prender parte a un atto politico: per lo stesso mezzo che i Gallo-romani in Francia; ma molto più tardi, troppo più tardi, e quindi con troppo diversi effetti.

III. S’è mai citato, non dico tra i re, ma tra i duchi, tra i giudici, tra i gastaldi, tra i gasindi regi, tra le cariche di qualunque sorte del regno longobardico, il nome d’un personaggio latino? In quell’ammasso di notizie, vere, false, dubbie, che si chiama storia de’ Franchi, si trova almeno qualche ambasciatore, qualche capitano romano, e fino un re, o capo temporario 2; e questo è stato un grande argomento per quegli scrittori sistematici che hanno voluto provare che i Franchi, impadronendosi delle Gallie, non avevano serbato esclusivamente nella loro nazione l’esercizio del potere. Ma nelle cariche, come nell’imprese de’ Longobardi, prima di Carlomagno, non è mai fatta menzione d’un personaggio italiano, nemmeno con un titolo dubbioso, nemmeno immaginario.

IV. Cosa poi pensassero gl’Italiani e Longobardi medesimi di questo esser diventati un popol solo, n’abbiamo due celebri testimonianze. «La perfida e puzzolentissima nazione de’ Longobardi, che non si conta neppure tra le nazioni, e dalla quale è certo essere venuta la razza de’ lebbrosi 3, dice un Italiano, Stefano III, nella lettera con cui vuol dissuadere i due figli di Pipino dall’imparentarsi con la casa di Desiderio. Fu quattr’anni prima della conquista di Carlomagno: e, di certo, non viene in mente a nessuno, che quel papa volesse parlar di tutti gli abitanti

  1. Audite qualiter placuit mihi Pippino, Excellentissimo Regis Gentis Langobardorum, cum adessent nobiscum singuli Episcopi, Abbates et Comites, seu reliqui Fideles nostri, Franci et Langobardi. Italiæ regis, Leges; Rer. It., tom. I, par. II, p. 118. Non si sa in qual anno fossero promulgate queste leggi; e non si sa neppur bene quando Pipino, figlio di Carlomagno, principiasse a regnar di fatto: morì nell’810.
  2. Franci, hoc (Childerico) ejecto, Aegidium sibi, quem superioris Magistrum militum a Republica missum diximus, unanimiter Regem adsciscunt. Gregor. Turon., Hist. Francor., lib. 2, c. 12. La parola Regem non si trova in tutti i manoscritti.
  3. Quæ est enim, prœcellentissimi filii, magni reges, talis desipientia, ut penitus vel dici liceat, quod vestra præclara Francorum gens, quae super omnes enitet, et tam splendiflua ac nobilissima regalis vestræ potentiæ proles, perfida, quod absit, ac fœtentissima Langobardorum gente polluatur; quae in numero gentium nequaquam computatur, de cujus natione et leprosorum genus oriri certum est? Cod. Car. Ep. 45. Questa taccia è parsa al Muratori (an. 770) tanto strana e piena d’ignoranza, da far nascer de’ dubbi sull’autenticità della lettera. Mi par però che si possa dare a tali parole di Stefano un senso ragionevole. Era conosciuta presso i Longobarli una malattia, qualunque poi fosse, la quale si chiamava lebbra. Ciò si vede nelle leggi, e segnatamente nella 176 di Rotari, nella quale il lebbroso, espulso giuridicamente da casa sua, è dichiarato morto civilmente, e da mantenersi del suo per carità. Tamen, dum vixerit, de rebus quas dereliquerit, pro mercedis intuitu, nutriatur. Della quale legge stranissima, e, credo, particolare ai Longobardi, dev’essere stata cagione l’opinione superstiziosa e temeraria, che questa lebbra fosse un indizio certo e manifesto di peccati commessi: peccatis imminentibus; peccato imminente (Id. leg. 180). Ora, può darsi che questa lebbra, sconosciuta in Italia prima dell’arrivo dei Longobardi, sia stata da essi comunicata agl’indigeni; e, in questo caso Stefano ha voluto dire che la razza de’ lebbrosi del suo tempo era venuta da loro. Ha parlato come un Greco, il quale, non ignorando che c’è stata peste nel suo paese molte volte prima che i Turchi ne fossero padroni, dice però che i Turchi ci hanno portata la peste, cioè quella che attualmente ci regna. - Il Muratori adduce altri argomenti contro l’autenticità della lettera; de’quali non crediamo di dover parlare, perchè nessun altro scrittore, a nostra notizia, è stato da essi indotto a dubitarne; e lui medesimo, non si vede chiaro se dicesse davvero, o se fosse una maniera di far sentire più fortemente quanto quella lettera gli pareva poco degna del suo autore.