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108 discorso storico

verisimile, anzi è talmente la sola verisimile, che si dovrebbe supporla quando non se n’avesse alcun documento. Ma ce n’è; e quell’egregio scrittore, le di cui diligenti, importanti, numerose scoperte saranno sempre un oggetto di riconoscenza, e una scusa abbondante per le sviste che possa aver fatte; quell’egregio scrittore non si rammentò che, in quelle stesse leggi longobardiche che furono ristampate e commentate da lui, sta scritto: «Se un Romano avrà sposata una Longobarda..., questa è diventata Romana, e i figli che nasceranno da un tal matrimonio siano romani, e seguano la legge del padre 1.» Sicchè questo fatto non serve ad altro che a somministrarci una testimonianza della separazione de’ due popoli. N’addurremo alcuni altri che l’attestano ugualmente, e dimostrano quindi quanto l’opinione opposta sia, non solo arbitraria, ma positivamente falsa, in contradizione perpetua con la storia e smentita dai documenti del tempo.

I. Da Rotari, che fu il primo, fino ad Astolfo, che fu l’ultimo de’ re longobardi di cui si siano conservate leggi, tutti, in testa a quelle, si sono intitolati: re della nazione de’ Longobardi 2. Si domanda, se questa denominazione comprendeva tutti gli abitanti d’Italia, o la sola nazione conquistatrice. Se tutti; perchè dunque le leggi stesse distinguono Longobardo da Romano? Se la sola nazione conquistatrice; qual testimonianza, più autentica, più solenne, più concludente può cercarsi della distinzione politica delle due nazioni, che quella de’ re, i quali si chiamano esclusivamente capi d’una di esse: quel re che dai propugnatori dell’unità sono rappresentati come l’anello che le riuniva? Potevano far di più per avvertire il Giannone di non mettere in carta quelle strane parole: «Assuefatta l’Italia alla dominazione de’ suoi re?»

II. Tutti questi re promulgatori di leggi parlano poi dell’intervento de’ Giudici, o de’ Fedeli longobardi, o anche di tutto il popolo. Si domanda anche qui se, per popolo, si deva intendere tutti gli abitanti d’Italia. C’è stato alcuno che abbia detto, o c’è alcuno che voglia dire che gl’Italiani erano chiamati a dare il loro parere sulle leggi de’ Longobardi? E se no, come si può dire, che formino uno stesso corpo civile, una sola repubblica, due popolazioni, una delle quali, o in corpo o per frazione, concorre alla legislazione, e l’altra n’è affatto esclusa? A questo si darà forse una risposta, la quale, diremo anche qui, non può servire ad altro che a somministrare una prova di più al nostro assunto. Si dirà che le leggi promulgate dai re con l’intervento de’ Longobardi, obbligavano questi soli; che i Romani avevano la loro legge; e che a questi non si faceva torto, non chiamandoli a ciò che non li riguardava. Anzi, questo permesso dato ai Romani di vivere secondo la loro legge, è addotto come una prova della clemenza de’ vincitori 3. Lasciamo per ora da una parte la clemenza, della quale si parlerà altrove: fosse questo, o qualunque altro, il motivo del fatto; il fatto medesimo, cioè l’aver leggi diverse, importa tutt’altro che unità delle due nazioni. Pretendere, che Longobardi e Romani fossero un popolo solo, e nello stesso tempo, che i Longobardi fossero un popolo clemente verso i Romani, è un attribuire ai primi due meriti incompatibili: per quanto buona volontà uno si senta di favorirli, bisogna pure scegliere tra i due sistemi di lode.

  1. Si romanus homo mulierem langobardam tulerit, et mundium ex ea fecerit,... romana effecta est, et filii qui de eo matrimonio nascuntur, secundum legem patris romani sint. Liutpr. Leg., lib. 6, 74.
  2. I due citati e Grimoaldo e Liutprando usano la formola: Rex gentis Langobardorum, Ratchi dice lo stesso con una perifrasi: Dum cum gentis nostrae, idest Langobardorum, Judicibus.... considerassem, etc.
  3. Clementi quippe, simulque prudenti consilio usi. In Leges Langobardor. Præfat. L. A. Muratori; Rer. It., tom. I, par. 11; ed altri.