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106 | discorso storico |
Il primo riposa sur una supposizione affatto arbitraria, cioè che due nazioni non possano, per un tempo anche lunghissimo, abitar lo stesso paese, rimanendo affatto distinte politicamente. In teoria non si vede su cosa sia fondata questa impossibilità. Una nazione armata ne sottomette un’altra, e s’impadronisce del suo territorio; si stabilisce in questo, con possessi e privilegi particolari, che riguarda come il frutto della conquista; mantiene o crea per sè sola dell’istituzioni particolari, destinate a conservarli; trasmette quell’istituzioni di generazione in generazione, usando ogni cautela per evitar la confusione e la mescolanza, perchè queste equivalgono a perdita de’ privilegi stessi: per qual ragione un tale stato di cose non potrà durare tre, quattro, dieci secoli? Perchè cessi, converrà che quelli che ne godono il vantaggio, o ci rinunzino, o ne siano spogliati; ma, per l’uno e per l’altro di questi effetti, non basta il tempo; nel quale, ma non dal quale le cose si fanno. In pratica poi, quella supposizione è smentita da troppi fatti. I Mori non diventarono Spagnoli, i Turchi non son diventati Greci, dopo occupazioni molto più lunghe di quella de’ Longobardi alla fine dell’ottavo secolo. Chi dunque fonda l’identificazione delle due nazioni longobarda e latina sul loro lungo convivere nello stesso paese, ragiona a un di presso come chi dicesse: quel carceriere abita da tant’anni nelle prigioni, che oramai può esser chiamato prigioniero.
Si vede che l’errore cominciò con un equivoco, cioè con qualcosa di vero in un senso, ma che non è il senso a cui si mira: come comincia ogni errore che non sia puramente negativo: s’appoggia alla verità, e ne sporge in fuori, con la tendenza a andar sempre più in fuori. Paesano, forestiero, son vocaboli che possono riferirsi, tanto al paese materiale, quanto a ciò che costituisce la concittadinanza. Nel primo senso, quella proposizione è vera, ma inconcludente: troppo vera, perchè non fa altro che dir la stessa cosa con diversi termini. — I Longobardi, nati in Italia, di padri e da avi nati in Italia, erano, riguardo al luogo della nascita, paesani, non forestieri, in Italia. — Non c’è che ridire: ma non c’è ragion di dirlo. Dunque erano paesani, non erano forestieri, in nessun senso, riguardo agl’Italiani. – Oh! questo no: ci vuol altro.
Il secondo argomento è stato messo in campo la prima volta, se non m’inganno, dal Giannone, in questi termini: «Assuefatta l’Italia alla dominazione de’ suoi Re, non più come stranieri gli riconobbe, ma come Principi suoi naturali; poichè essi non aveano altri Regni o Stati collocati altrove, ma loro proprio paese era già fatta l’Italia, la quale per ciò non poteva dirsi serva, e dominata da straniere genti 1.» Ma è lo stesso equivoco, sotto un’altra forma; e non si può altro che opporgli la stessa distinzione. Non più stranieri, riguardo a che? All’Italia, geograficamente intesa? È, se ci si passa questo vocabolo, un identicismo puerile. All’Italia, moralmente intesa, cioè agl’Italiani? È una falsa conseguenza. E cosa vuol dire quell’altrove? In altri luoghi? Siam sempre lì: c’è altro da vedere. Se, riguardo agl’Italiani, il regno, lo Stato fosse o non fosse collocato altrove, cioè in una società della quale essi non facessero parte, questa è la questione, che il Giannone non vide. Suppose che l’avere una stessa e sola patria materiale costituisca necessariamente la connazionalità. E, a ragionare a modo suo, gl’Iloti avrebbero dovuto riguardarsi come concittadini de’ Lacedemoni, loro conquistatori, perchè questi non avevano regni o Stati, fuori del Pelopenneso.
Gli altri due argomenti sono addotti indirettamente dal Muratori:
- ↑ Ist. Civ., lib. 5, cap. 4.