Nè a mortale nè a Dio fien manifeste
Anzi che a te. Ma quante il mio secreto 670Lungi da’ Numi provedendo volve,
Nè interrogarle, nè spiarne mai.
A lui volgendo i grandi occhi rispose
La veneranda Giuno: E che sentenza,
Severissimo Iddio, manda il tuo labbro? 675Nè a te fo inchiesta ne quell’opre indago
Che nel silenzio maturando vai:
Or temo sol non di Nerèo la figlia,
Teti da nivei pié, che mattutina
Ti s’accolse d’intorno e t’implorava, 680Temo non t’abbia lusingando tratto
Ad assentirle per onor d’Achille
Su magnanimi Achei molta sciagura.
E il Sire a lei: Genio superbo, intento
Sempre a sospetti, a te non uno fugge 685Nostro pensier! Nè tu n’andrai più lieta;
dianzi men grazia nel mio cor più sempre,
E a te più doglie impetri. Or se t’apponi
A ciò che avvenne, perch’io volli, avvenne.
Tu queta le parole, e sì fa senno 690Del mio consiglio che non forse aiuto
Impotente ti siano gl’immortali
Quanti veggon l’Olimpo, ov’io le mani
Invincibili mie su te commetta.
La veneranda paventò a que’ cenni,