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          Io vorrei pur drizzar queste mie piume
               Colà, Signor, dove il desio m’invita,
               E dopo morte rimaner in vita,
               Col chiaro di virtute inclito lume.
          Ma il volgo inerte che dal rio costume
               Vinto, ha d’ogni suo ben la via smarrita.
               Come degna di biasmo ognor m’addita
               Ch’ir tenti d’Elicona al sacro fiume,
          All’ago, al l’uso, più ch’al lauro o al mirto,
               Come che qui non sia la gloria mia,
               Vuol ch’abbia sempre questa mente intesa.
          Dimmi tu omai, che per più dritta via
               A Parnaso ten’ vai, nobile spirto,
               Dovrò dunque lasciar sì degna impresa?

V‘ è certa lindura che pare posteriore a quella età: — ir troncatura d’ire, com’è nel verso ottavo, dicesi anche oggi in poesia invece di andare. — A ogni modo gli eruditi ne fanno merito alla Giustina. Certo che il sonetto:

La gola, il sonno e le oziose piume etc.

fu dal Petrarca scritto per le rime in risposta a questo; e sciolse il problema da quel poeta galante ch’egli era.

De Conti. Romano: scrisse un canzoniere col titolo La Bella Mano: e son tutte rime in lode della sua donna; ma per lo più imitazioni della poesia petrarchesca, la quale com’ebbe tocco il sommo, cominciò per destino di tutte le umane cose a declinare, appena morto chi l’aveva perfezionata. Però in questo sonetto vedesi un bel lavoro intarsiato di pensieri alti e finissimi; bel lavoro a dir vero; ma pur sempre a mosaico, senza creazione e senza unità di composizione. — L’entrata del sonetto è vivace, e ricorda la cantica di Salomone Cup. 3. Vs. 6. Chi è mai costei che viene dal deserto sì bella? — La voce chiostro del terzultimo verso è frequente in tutti i nostri poeti; e deriva dal latino claustrum, recinto; però s’usa metaforicamente per qualunque circonferenza chc paia chiusa: e qui gli