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Muta s’intrica la mia lingua; accensa
Scorre ogni vena; ronza tintinnìo
Dentro gli orecchi; notte alta s’addensa
                    Sul guardo mio:

Sudor di gelo le mie guance innonda,
Tremito assale e abbrivida ogni membro,
E senza spirti, pallida qual fronda,
                    Morta rassembro.


Quest’ode io tradussi, or sono vent’anni o più; e tenni il metro greco inventato da Saffo; sol vi ho aggiunto le rime: nè so d’averla neppur mai ricopiata: ma fidando che solamente pochissimi la leggeranno la stamperò qui (benchè senta lo stile assai giovanile) affinchè si raffronti come e i Greci e i nostri esprimono diversamente le passioni del cuore. Saffo dipinge ardentemente gli accidenti naturali dell’amore, e il Petrarca le immaginazioni ideali. Anche Orazio chiude un’ode col dolce parlante dolce ridente che trovasi nella prima strofetta di Saffo; se non che nel poeta latino la stessa idea e le stesse parole spirano più amenità che passione: tanto gli scrittori malgrado ogni loro studio denno obbedire al cuore che detta sempre secondo gli affetti ch’ei prova. Il Petrarca essendo più affettuoso d’Orazio e meno sensuale di Saffo potè ritenere l’eleganza latina e temprare il furor della poetessa; onde alla circostanza del dolce parlare e del dolce ridere aggiunse di suo il bel Verso

Chi non sa come dolce ella sospira!

È gran lite fra’ critici se Giustina Levi Perotti da Sassoferrato contemporanea del Petrarca, abbiagli intitolato il seguente sonetto, nel quale gli propone il problema se a donna si disdica l’aspirare a fama di poetessa: eccolo qui appresso: