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quanti tiranni vollero essere numi, genitrice di quanti numi abbisognavano a’sacerdoti, ministra di quante immaginazioni conferivano alle laide allusioni degli artefici e dei cantori, ed esempio di quanti vizi effeminavano le repubbliche. E voi frattanto, o retori, ricantate boriosamente le favole, unica supellettile delle vostre scuole, senza discernere mai le loro severe significazioni; e i nostri Catoni le attestano per esercitare la loro censura contro le lettere; e gli scienziati ne ridono come di sogni e d’ambagi; e i più discreti compiangono quel misero fasto di fantasmi e di suoni. Ma pur nel sommo splendore della greca filosofia, Platone vide tra quelle favole i principii del mondo civile1. E mentre il genio de’Tolomei richiamava in Egitto le scienze e le lettere onde restituirle alla Grecia spaventata dai trionfi di Alessandro, Maneto pontefice egizio ed astronomo insigne, fondò su quelle favole la teologia naturale2. E Varrone, maestro de’più dotti Romani, diseppelliva da quelle favole gli annali obliati d’Italia3. E Bacone di Ve-

  1. Segnatamente nel Cratilo e nel Convito.
  2. Bailly, Storia dell’Astronomia.
  3. Cicerone nelle Filosofiche, passim, e il Vico nel libro De antiquissima Italorum sapientia.