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tieri alla gloria, e i combattenti al valore. Fumavano le viscere palpitanti delle vergini e dei giovanetti su l’are, perchè i popoli nella prima barbarie libano al cielo col sangue innocente e coi teschi; ma i simulati consigli d’Egeria al pio successore di Romolo, e la frode della cerva immolata sotto le sembianze d’Ifigenia, placarono ne’ templi della Grecia e del Lazio il desiderio di vittime umane. Sovente ancora la metafisica delle scienze si ornò dell’allegoria per idoleggiare le idee che non arrendendosi ai sensi, rifuggono dall’intelletto. Credevano i savi antichissimi che l’attrazione della materia avesse a principio combinate, e propagasse in perpetuo le forme ed il moto degli enti; e narrarono che nel caos e nella notte nascesse Amore, figlio e ministro di Venere, di quella deità ch’era simbolo della natura. Credevano che l’acqua, il fuoco, l’aere, la terra fossero elementi del creato; e i poeti cantarono Venere nata dall’onde voluttà di Vulcano, abitatrice dell’etere, animatrice di tutta la terra. Ma poichè le allegorie vennero adulterate dall’orgoglio dei potenti, dalla ignoranza del volgo, dalla venalità dei letterati, le scienze si vergognarono della poesia, e si ravvolsero tra i misteri dei loro numeri; e Venere fu meretrice e plebea, sposa di