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litica che intende a valersene sapientemente, e la poesia che lo riscalda cogli affetti modulati dalla parola, che lo idoleggia coi fantasmi coloriti dalla parola, e che lo insinua con la musica della parola. Cantavano Lino ed Orfeo che i monarchi erano immagine in terra di Giove fulminatore, ma che doveano osservare anche essi le leggi, poiché il padre degli uomini e dei celesti obbediva all’eterna onnipotenza de’Fati. Cantavano la vendetta contro Alteone e Tiresia che mirarono ignude le membra immortali di Diana e di Pallade nei lavacri, per atterrire chi s’attentasse di violare gli arcani del tempio; ma distoglieano ad un tempo dai terrori superstiziosi le genti, rammentando nelle supplicazioni agli iddii che anch’essi pur furono un tempo e padri ed amanti ed amici, e che soccorressero alle umane necessità, da che aveano anch’essi pianto e sudato nel loro viaggio terreno. Tutte le nazioni esaltando il loro Ercole patrio, ripeteano con quante fatiche egli avesse protetti dagl’insulti delle umane belve ancor vagabonde per la grande selva della terra, quei primi mortali che la certezza della prole, delle sepolture e dei campi, e lo spavento delle folgori e delle leggi aveano finalmente rappacificati; e quegl’inni accendeano i condot-

Fosc. Op. Scelt. 3