alla voluttà che ispirava colla pittura d’Armida, a tutta l’armonia dell’architettura, de’ caratteri, delle passioni, e dello stile di quel poema; se con questo pensiero si fosse poi nella sua coscienza confermato che egli aveva virilmente adempito a tutti i doveri dell’arte sua, l’infelice Torquato avrebbe egli strascinata si deplorabile vita? Sarebbe vissuto più povero di quello ch’ei visse?A che gli giovò la paura di perdere il favore del Duca? questa paura fu rimunerata colla prigione. A che dolersi dell’-ingratitudine del mondo? Doveva egli non prevederla, non conoscerla, non tollerarla con sublime rassegnazione? A che piangere perchè i suoi nemici non gli lasciarono un’ora di tranquillità? Ma questi nemici non erano gente, o ignorante, o abietta, o cieca nelle loro turpi passioni? Non avevano per armi l’invidia, la malignità, la venalità, la menzogna, l’impostura, l’adulazione? E non era tutta colpa di quel grande e poco prudente intelletto s’ei concedeva che la sua pace fosse in balia di sì fatti perversi? Afliggendosi per le loro persecuzioni li lasciava in loro potestà la dignità e le forze della sua ragione. Petrarca invece dominato anch’egli dallo stesso amore infelice, che fu anche la secreta cagione della pas-