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mente il letterato, e niuno quanto il letterato merita taccia d’ingrato e di cieco s’ei non profitta di questi compensi. Poichè l’arte sua che riguarda perpetuamente le opinioni e le passioni degli uomini, che lo costringe ad osservare attentamente i moti del proprio cuore, e quelli degli altri, onde sapere come usar meglio dell’eloquenza, che lo inoltra nella storia del genere umano, nelle sciagure, negli errori, nei pentimenti di tutti gli uomini, che in una parola necessariamente gli fa vedere le sorgenti di tutte le nostre passioni, e il caso di tutta l’umana fortuna, gli somministra per queste vie i due mezzi più possenti a rinvigorire la sua ragione, l’esperienza ed il paragone. Queste due armi da cui è nudrito l’intelletto di tutti i mortali sono per la necessità dell’arte in esercizio perpetuo nella mente del letterato, e niuno meglio di lui può imparare a maneggiarle utilmente.

Egli allora vedrà che la sventura non è terribile Dea se non per que’mortali superbi che cercano di trascendere i limiti della natura a cui niuna possanza e niuna felicità sembra bastante, e quasi certissimi di vivere eternamente e di non discendere mai nel sepolcro, si querelano della natura e vorrebbero vincere