aizzata l’invidia de’ loro contemporanei. Una teoria diversa da quelle che un altro uomo ce lebre insegna, un’idea sola, una nuda parola che offenda il gusto, un emistichio plagiato da un altro, bastano a muovere sanguinose persecuzioni, contro il dotto ed infelice Abelardo e a far ardere nel rogo il medico Michele Servet per ordine di Lutero, ed attizzare la discordia e gli improperii scambievoli, e gli odi di Rousseau e di Voltaire, e a profanare in ogni secolo di dolore e di vituperi gli altari di Pallade e delle Muse. Aggiungi il potere matto dei principi per cui Caligola voleva esiliare dalle Biblioteche i libri di Virgilio e di Livio e far guerra per conseguenza a tutti i letterati viventi; aggiungi finalmente la fatale cecità anche de principi più saggi che pur sono uomini e sottoposti a tutte le umane infermità, onde Vespasiano cacciò d’Italia tutti i filosofi, ed allora apparirono nella loro putrefazione e amarezza tutti i frutti della celebrità quand’è prefissa ed unica meta della letteratura. Ed ecco la decantata felicità della gloria la quale si riduce a ciò che Petrarca già vecchio, e più celebre, e più tranquillo, e men disgraziato di quant’altri mai sian nel mondo vissuti tra gli studi, ripeteva agli amici. Petrarca vide e con-