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della vita e questa non è ipotesi metafisica, bensì idea generale composta da infinite esperienze di fatto siccome apparirà dal processo del nostro esame.
Il desiderio di fama non può per se stesso rendere meno misero l’uomo letterato, per certe cause potenti, ed inerenti alla natura. La gloria è desiderio inestinguibile, che pari all’amicizia si accresce di ardore e di forza quanto più si alimenta. Inoltre è soggetto a’confronti, e a’ confronti palesi: e quanto più l’uomo aspira ad avanzare in riputazione, e quanto più avanza, tanto più si vedrà minor della fama di tanti e tanti altri che per più corso di tempo, e per maggiore fortuna o valore d’ingegno ebbero ed avranno sempre maggiore celebrità. Nè le umane passioni hanno pur troppo, o giovani, maggior flagello di quello della rivalità, la quale genera il verme vile, secreto, maligno dell’invi dia, l’umiliazione del confronto, e finalmente il terribile e l’ultimo de’mali dell’uomo, la disperazione cioè di poter soddisfare le proprie più care e più necessarie passioni. A queste cause che rendono infelice chi coltiva le lettere per sola avidità di fama, s’aggiunge il disinganno che sovente sparge di tenebre e di timori e di fastidio tutto lo splendore, tutta la superbia, e