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spergiuro, si tolleri in un letterato la massima che un podere merita una viltà.

Or si dirà; si ha egli a trascurare affatto l’utilità che per i bisogni e i piaceri domestici si può ricavare dalle lettere? Non affatto: ma questa utilità deve essere accessoria. Che s’egli è provato come parmi, che le lettere quando non si volgano che a cercare ricchezze non giovano alla felicità di chi le coltiva, è altresì chiaro che non si denno rivolgere alla sola ricchezza. In alcune società come nell’Inghilterra, il numero de’ lettori, la forza delle leggi, il gran prezzo de’ libri fanno indipendenti ed agiati gli scrittori; un letterato che riesca di utile o di diletto a’ suoi concittadini è sicuro d’arricchirsi con l’arte sua senza prostituirla. Non così tra di noi, che la facilità d’eludere le leggi che hanno i librai de’diversi stati in cui si divide l’Italia, la difficoltà di propagare con infidissimo commercio le opere in tuttii paesi italiani; il gusto finalmente che è diviso secondo la varietà e la disunione degli stati, e che fa in una città apprezzare un libro nel tempo stesso che vien disprezzato in un’altra, ed altre cagioni ch’io non conosco forse, fan sì che pochi stampatori arricchiscano, e molti autori