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proprie oscenità, non sono certo contrassegni di un’anima contenta e tranquilla, e che riposi sopra saldi principii. Nè i poderi dunque acquistati da Orazio, nè un Augusto che lo onorava, nè un Mecenate che lo favoriva, bastarono a farlo felice; e non bastano a persuadermi che le lettere, giovino alla nostra prosperità quando sieno rivolte a procacciarsi danaro. Questo sia detto su la pretesa felicità di questo poeta; e quanto alla sua fama dopo la morte, diremo altrove, quando vedremo quanto giovi alla vita felice la letteratura che non si volga che a cercar gloria.

Or via, per esaurire il discorso in questa parte che concerne la ricchezza poniamo un’ipotesi, e concediamo anche come fatto ciò che non può essere che astratta immaginazione: ed è che vi siano uomini i quali non abbiano per intento, per istituto, per unica passione in somma e perpetua che la ricchezza, e che per soddisfarla si valgano della letteratura. Concediamo anche che quest’uomo sia libero d’ogni pudore; concediamo che qualunque istituzione sociale, la quale non abbia in aiuto i carcerieri e i fiscali, possa essere calpestata. E se in Giulio Cesare si tollerò quel detto, che un regno meriti uno