tà la dolcezza delle sue muse all’amicizia di Gallo. Tolse dalle Georgiche ancora inedite l’episodio che poteva offendere Augusto; ma non tolse gl’encomi a Gallo dalle Egloghe che correvano già pubblicate. All’episodio consecrato all’amico, e sacrificato all’ira del principe sostituì non le lodi d’Augusto, ma que versi celesti della favola di Aristeo e della morte di Euridice. L’argomento dunque della condotta di Virgilio conclude cosi: io non poteva scrivere senza agi e senza il favore del principe; l’ho dunque adulato; ma io non poteva acquistare stima a’miei scritti se all’adulazione avessi unita l’infamia e la malignità; ho dunque conservata la verecondia e la bontà d’animo anche nell’adulazione. Ma Pindaro adonesta ancor più di Virgilio il suo amore per la ricchezza. Dalle sue poesie si scorge che egli considerava la ricchezza e la virtù come due beni, senza de quali non v’è felicità sulla terra. Callimaco segui questa opinione ed imitò l’antico lirico negli ultimi versi dell’inno a Giove. «O Re dell’universo, dic’egli, concedi a noi virtù e ricchezza; la ricchezza senza la virtù non basta agli uomini; nè la virtù senza ricchezza». Pindaro quindi non isdegnava la ricchezza finchè non contaminava la virtù, ne seguiva eroi-