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provato di fare, abbozzar a gran tocchi l’istoria morale di quest’epoca, ma mostrarci Firenze, co’ suoi costumi, colle sue passioni, colle sue idee repubblicane insieme e cristiane: difficile ma interessante carriera che io mi contenterò indicare a quegli spiriti poco comuni che recar sanno nello studio dei capi d’opera d’intelligenza ed osservazione filosofica e scrupolosa.

Ma qual genere di letteratura, quai travagli, quale profonda conoscenza dell’italiana favella non richiederebbe tale impresa? con Dante egli è che comincia, da lui solo egli è che data la civilizzazione dell’italiana penisola. Senza lo studio dell’idioma provenzale, senza aver percorso con attenzione il progredimento de’ lumi rinascenti, da Napoli a Firenze, e da Firenze a Roma, non si arriverà giammai a soddisfare all’impresa da me indicata. Bisognerà trarre dalla polvere delle biblioteche tutto ciò che può gettar lume sul XIII e XIV secolo; dicifrar manoscritti, studiar le usanze e i costumi dell’Italia sotto il pontificato di Bonifacio e de’ suoi predecessori. Bisognerà sopratutto evitar l’errore commesso da tutti i biografi, che confondono l’epoca di Dante con quella di Boccaccio e del Petrarca, che per nulla si rassomigliano tra loro. Questi due ultimi scrittori