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penosa e funesta; ma in questi passaggi si manifesta l’ardore, la delicatezza, la bontà del di lui cuore così grande, così passionato? Leggete la sua opera in prosa che egli intitola il Convito; e’ vi parla della sua patria colla più profonda tenerezza. Rammenta l’ingiustizia de’suoi concittadini, come un errore e non già come un delitto; prega Iddio che le sue ossa riposar possano un giorno in questa patria si cara. «Ah! piaciuto fosse al dispensatore dell’universo che la cagione della mia scusa non mai vi fosse stata! Che nè altri contro me avria fallato, nè io sofferto avrei pena ingiustamente; pena, dico, d’esilio e di povertà, poiché fu piacere de’ cittadini della bellissima e famosissima figlia di Roma, Fiorenza, di gittarmi fuori del suo dolce seno, nel quale nato e nudrito fui fino al colmo della mia vita, o nel quale con buona pace di quella desidero con tutto il cuore di riponere l’animo stanco e terminare il tempo che mi è dato». Da questa apostrofe può rilevarsi il carattere d’eloquenza, d’unzione, di sensibilità, di patetico del padre della nostra lingua!

Tuttavolta noi non intendiamo volere trasformar Dante in poeta sentimentale. Portava egli, secondo che ci siamo sforzati di provarlo