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cesi, si fa sentire insino ne suoi versi, un’asprezza insomma che Schlegel chiama ghibellina. Noi riguardiamo questa critica come ingiusta e dettata dalla brama dello scrittore alemanno di vendicare i romani pontefici malmenati da Dante. Indigente, bandito, avea dritto l‘ Alighieri di lagnarsi: in faccia alle calamità della sua patria, egli avea diritto di maledirne gli autori; ma l’anima la più gagliarda e la più sensibile si svela ad ogni istante nella di lui opera. Egli v’ha disseminato deliziose comparazioni, tratte dalla vita campestre o che vi si riferiscono; e sotto l’allegorico velo ch’egli ha tessuto, la sincerità del di lui amore per Beatrice, compagna della prima sua infanzia, oggetto della passione di tutta la sua vita, costantemente ci comparisce, onde moderar l’ira sua e raddolcire il sentimento delle sue pene. Gli è vero che la memoria degli oltraggi ch’egli ha ricevuti lo perseguita nelle stesse regioni dell’eterna luce, ch’ei dice insieme al suo secolo,
Che bell’onor s’acquista in far vendetta1.
Che in mezzo agli angioli e ai santi, il nome di Firenze gli è cagione di una emozione trista,
Fosc. Op. Scelt. | 13 |
- ↑ Per una singolarità degna da osservarsi, questo verso non si trova nell’inferno di Dante, ma in una delle canzoni più tenere che abbia scritto questo poeta.